giovedì 26 febbraio 2015

QUANDO LO STATO TI "PREMIA" CON UNA CARTA BONUS IDROCARBURI CON SALDO PARI A 0 ZERO EURO


Ho appena ricevuto la Carta Bonus Idrocarburi, rilasciata dal MISE a mezzo Poste Italiane. Dopo avere ritirato anche il PIN relativo, mi sono recato all'Ufficio Postale più vicino, per la consueta attivazione. Al termine delle operazioni di attivazione però, stranamente sulla Carta a me intestata (vedi Immagine allegata), il saldo risultava pari a 0 (zero euro).

L'impiegata allo sportello delle Poste mi fa sapere che il saldo non è mai stato accreditato su questa carta e quindi le responsabilità dell'anomalia sarebbero da verificare in seno al MISE.


Contatto il MISE e scopro di non essere il solo. Sono circa 6.500 le carte su cui non è stato versato alcun accredito. Nel mio caso la ragione risiederebbe in un assurdo cavillo burocratico legato alla residenza, ovvero, avendo io spostato la residenza nel 2013 ed essendo richiesta la residenza al 31 dicembre dell'anno precedente, sono rientrato fra quelli che non avevano diritto al Bonus.

Ovviamente trattasi della classica ingiustizia medioevale italiota. Bastava che il mio bonus partisse dal momento di presentazione della domanda, come è giusto che sia. Invece no! 

A questo punto la domanda è lecita:"Dove vanno a finire tutti quei soldi che dovevano essere accreditati sulle nostre carte Bonus Idrocarburi e soprattutto di chi è la responsabilità ?"





domenica 22 febbraio 2015

IL FARO E LA SFERA


...se è vero che l'uomo, ogni uomo, nell'infinitamente piccolo è fatto di atomi e che l’aria che si frappone fra quell'uomo e gli altri è fatta essa stessa di atomi.....allora non vi è soluzione di continuità, non vi è divisione fra gli uomini. Siamo nel bene e nel male legati l’uno all’altro in un sistema ove l'azione di uno, in un modo o nell' altro, influenzerà anche il destino degli altri....

Mario Albano Barragan


PETROLIO IN VAL D'AGRI:"UNA RICCHEZZA MAI VISTA"



All'interno dei confini del Parco Nazionale della Val D'Agri, così come tutti gli altri pozzi presenti in Basilicata. Un'area dall'incredibile, incontaminata bellezza paesaggistica e che fino a 20 anni fa, prima dell'inizio delle trivellazioni, non conosceva inquinamento o patologie ad esso correlate. Eppure dall'attività estrattiva del principale giacimento petrolifero dell'Europa continentale, ci saremmo aspettati, almeno una significativa ricaduta economica sulla popolazione locale: "Infrastrutture, riduzione delle imposte, abbattimento del costo carburante e dell'energia ad uso domestico e industriale, innalzamento della soglia di povertà". Invece niente. Come in un paese dell'Africa Sub-Sahariana, con tutto il rispetto per quei popoli, nell'Italietta dei politicanti totalmente asserviti ai poteri economici e purtroppo anche di altra natura, la Lucania resta una delle Regioni più povere del paese. L'unica regione priva di una rete ferroviaria degna di questo nome, quando già negli anni "40 esisteva un treno che collegava la Val D'Agri al resto d'Italia, con la vecchia stazione, ancora presente a Marsico Nuovo. Un indice di disoccupazione e di emigrazione giovanile altissimo. Costo carburante fra i più elevati in Italia. Presidi Ospedalieri rari e laddove presenti, edificati a 500 metri da un pozzo petrolifero, come l'Ospedale di Villa D'Agri. Qualcuno potrà obbiettare, sostenendo che la colpa è dei Lucani. Invece credo non sia così. I popoli non sono liberi, forse non lo sono mai stati ed oggi lo sono ancora meno che in passato, nonostante viviamo in un paese, sulla carta, "Democratico". A volte penso che è proprio il sistema ad essere sbagliato. La Democrazia Rappresentativa Parlamentare e la conseguente piramide di potere che ne è scaturita, partendo dai Parlamentari, passando dalle Regioni, fino ad arrivare agli esponenti Politici provinciali, si è dimostrata, di fatto, fallimentare. Una sorta di "piramide sociale capovolta", dove (in molti casi e con le dovute eccezioni) i "peggiori soggetti", dal punto di vista etico e morale, occupano posizioni di potere, mentre il resto della popolazione è relegato agli angoli o nel migliore dei casi a subire nel silenzio. Resta, come speranza e potenziale innesco di un eventuale processo di cambiamento, l'informazione. Un grazie, pertanto, va a tutte quelle persone che contribuiscono a far conoscere una realtà, altrimenti sottaciuta.

venerdì 20 febbraio 2015

LA DISTRIBUZIONE DEI RUOLI:" PRINCIPIO FONDANTE DELLE SOCIETA'"


Roma-Feyenoord, guerriglia a Piazza di Spagna: cariche contro ultras olandesi. Marino: “Città devastata, non finisce qui”



Esiste un principio basilare su cui si fondano tutte le società, questo principio è la distribuzione dei ruoli. In una società moderna, esiste chi si occupa della salute degli individui, ovvero i Medici; vi sono poi coloro che si occupano di giudicare il comportamento dei cittadini, ovvero i Magistrati; vi è chi costruisce le case, ovvero i muratori; chi va a pescare il pesce in mare, i pescatori e così via. Inoltre vi è chi si dovrebbe occupare di tutelare la sicurezza e l'ordine pubblico, ovvero le Forze dell'Ordine. 

Ora, se all'Aeroporto di Milano, i carrelli del trasporto bagagli vengono sequestrati da immigrati, che si fanno pagare a caro prezzo, il trasporto bagagli sul carrello, che dovrebbe essere gratuito; se davanti alla stazione ferroviaria di Milano, vi sono rom che prelevano i portafogli dagli zaini degli ignari passanti, senza che nessuna autorità intervenga; se a Roma, è vero com'è vero, che tutto il centro storico è presidiato da immigrati del Bangladesh, Sri Lanka etc. in quantità assurde, che vendono per strada prodotti contraffatti sotto l'occhio (chiuso) delle forze dell'ordine; se 5000 tifosi olandesi riescono ad arrivare nel cuore di Roma, della capitale italiana e danneggiare monumenti storici d'inestimabile valore, come la "Barcaccia" in Piazza di Spagna, senza che le Forze dell'Ordine intervengano per tempo, bhe allora c'è qualcosa che non quadra e questo qualcosa va a ledere le fondamenta stesse della società in cui viviamo. 

“Oggi a Roma lo Stato era assente”. “Troppe falle nella sicurezza e servizio d’ordine sbagliato”. Più che i video e le immagini della devastazione, sono le parole dell’assessore comunale ai Trasporti Guido Improta e del sindaco Marino a descrivere quanto accaduto nella capitale nelle 36 ore che hanno preceduto Roma-Feyenoord, match valevole per l’andata dei sedicesimi di Europa League.

Credo che tutti i cittadini dovrebbero iniziare a denunciare chiunque non faccia la sua parte nella società e smetterla di sottacere, perchè se vogliamo una società migliore e più giusta, ciascuno deve farsi carico di adempiere correttamente al proprio ruolo, cittadini compresi.

giovedì 19 febbraio 2015

" IL GELATO BIOLOGICO "




L’albero di mele si stagliava alto al centro del prato antistante l’ingresso della casa in campagna. Ricordo mio padre in equilibrio sulla scala, che sceglieva quelle più mature e le raccoglieva in un cesto di vimini. L’aspetto era assai diverso da quelle in vendita al mercato. Erano più piccole e meno belle, ma avevano un sapore pieno e intenso. Lui mi sorrideva, porgendomene alcune: ”Sono biologiche, mangiale!”. “Puoi fidarti!”. Allora non conoscevo, il significato di “alimento biologico” e non sapevo cosa vi fosse dietro quel termine, ma pensai che un giorno, ne sarebbe valsa la pena approfondire l’argomento. 

L’etimologia del termine “Biologico” deriva dal greco Biòs (vita) e Lògikos (attinente al discorso). Da ciò se ne evince, pertanto, che se la biologia è lo studio della vita, in altre parole della natura nel suo complesso, parlare di “alimento biologico” equivale a dare la definizione di “un prodotto realizzato, secondo metodiche e disciplinari, in armonia con la natura”. Sembrerebbe tutto molto semplice eppure, dietro l’apparente semplicità del lemma, in realtà si nasconde un mondo complesso e affascinante. La stessa definizione di alimento biologico sarebbe di per se errata. Bisognerebbe, infatti, parlare di alimento proveniente da agricoltura o allevamento biologico, poiché a essere biologico, non è soltanto il prodotto finale, bensì il metodo di produzione nel suo complesso. In altre parole, il semplice aggettivo non basta a definire l’alimento biologico in quanto tale, ma è l’intera filiera produttiva a monte dello stesso che deve altresì soddisfare i requisiti “Bio”. Benché non esista, una definizione univoca di “alimento biologico” possiamo tuttavia dire che, con suddetto termine, s’intende un prodotto ottenuto attraverso pratiche agricole o di allevamento che non prevedono l'ausilio d’alcun tipo di prodotto chimico di sintesi o di OGM (Organismi Geneticamente Modificati) e rispettando l'equilibrio naturale dello stesso. 

Fatta questa premessa, a questo punto è opportuno chiedersi come nasce un gelato bio e soprattutto quando un gelato può definirsi biologico? Domande a cui il gelatiere del nuovo millennio può e deve saper dare una risposta. Questo non soltanto perché somministrare un alimento che soddisfi i requisiti del “biologico” è certamente una sfida interessante, ma anche perché ci troviamo di fronte ad un mercato in costante crescita, che può garantire notevoli soddisfazioni anche dal punto di vista economico. 

In quest’articolo, vedremo come si ottiene un alimento biologico, in questo caso il gelato, tenendo conto delle varie fasi del processo produttivo, e dei singoli ingredienti, senza trascurare l’assetto legislativo e alcuni cenni storici che ci consentiranno di comprendere al meglio, come si è giunti agli attuali sviluppi di mercato.


La storia del biologico

Il secolo scorso è stato teatro d’importanti cambiamenti che hanno interessato molti aspetti della nostra vita quotidiana, non ultimo quello concernente l’alimentazione. Per millenni l’uomo si è nutrito di prodotti derivanti, dalla coltivazione della terra e dall’allevamento del bestiame. Le piante, in particolare, con cui venivano nutriti gli animali, erano coltivate utilizzando metodi del tutto naturali. I micro e macro nutrienti, di cui ogni pianta ha bisogno per vivere, erano attinti e preservati nel terreno, utilizzando le conosciute tecniche di rotazione agricola, ovvero alternando le colture dei campi di modo da non impoverire il suolo di determinati elementi. Ciascuna coltivazione, infatti, attinge dal suolo i nutrienti, in misura e percentuali diverse rispetto ad altre cultivar. L’alternanza delle cultivar è un fattore quindi essenziale, al fine di preservare l’equilibrio chimico del suolo, la biodiversità sul territorio, oltre che sfavorire l’attecchimento di molti parassiti. 

Questo stato di cose è durato millenni, fin quando nel corso della prima metà del secolo scorso, due fenomeni fecero la loro comparsa, in particolare nel mondo occidentale. Eventi che gettarono le basi per un cambio radicale nei processi agricoli e zootecnici tradizionali. 

Il primo cambiamento avvenne durante i primi anni “30, quando il chimico tedesco Justus Von Liebig, introdusse il concetto innovativo secondo cui, apportando al terreno, di forma artificiale, elementi come potassio, azoto, fosforo, sotto forma di sali inorganici e urea, si potevano garantire alle piante i nutrienti di base, senza ricorrere alle consuete tecniche di rotazione.  La scoperta segnò l’avvento e la diffusione delle colture specializzate e intensive. 

Il secondo cambiamento vide, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, l’immissione sul mercato di una vasta gamma di fitofarmaci e antiparassitari derivanti dalla ricerca messa in atto dall’industria chimica durante il periodo bellico. Il miraggio della possibilità d’ottenere eccezionali livelli produttivi, grazie a sostanze chimiche a basso costo, favorì la diffusione massiva e a livello globale di queste sostanze. In pochi anni si passò quindi, da piccoli e numerosi appezzamenti di terreno coltivati con metodi del tutto naturali e secondo sistemi di coltivazione alternata, a immense distese di raccolti intensivi e specializzati, su cui venivano utilizzati pesticidi, anticrittogamici e altre sostanze chimiche, spesso in quantità oltre le soglia di sicurezza consentita. Gli effetti avversi non tardarono a manifestarsi. Il picco che segnò livelli d’intollerabilità e che spinse molti esperti a ricorrere ai ripari, si registrò a cavallo degli anni “70-80” quando furono resi noti i problemi di tossicità di alcuni pesticidi ad alta residualità ambientale. Molti ricorderanno lo scandalo sul para-diclorodifeniltricloroetano comunemente conosciuto come DDT. In Italia in particolare, il problema toccò livelli insostenibili, quando dati statistici attendibili, segnalarono a fine anni ottanta, che la sola Emilia Romagna utilizzava un quantitativo di fitofarmaci e concimi di sintesi, superiore a quello di tutta la Germania occidentale. In questo contesto nasce impellente, prima negli Stati Uniti d’America e poi in Europa, parallelamente al fenomeno internazionale ambientalista degli anni settanta, la necessità di ritornare a una forma d’agricoltura sostenibile che tenesse conto di tutte quelle informazioni, osservazioni e sperimentazioni custodite per millenni in seno alla saggezza contadina dei popoli e che pochi decenni d’industrializzazione e pratiche intensive avevano quasi spazzato via completamente. 

In risposta a questo crescente bisogno, già nel corso della prima metà degli anni settanta, molte aziende agricole, in particolare in USA ed Europa, ricominciarono a produrre “alimenti biologici”, con metodiche agricole tradizionali e senza l’ausilio d’alcun tipo di prodotti chimici di sintesi. Anche in Italia, nello stesso periodo, fecero la loro comparsa associazioni e singoli agricoltori che si occupavano di “Bio”, ma fino a quel momento erano pochi e male organizzati. Le difficoltà produttive e i costi spesso insostenibili, inducevano i più a desistere nell’intento. D’altra parte ancora non esisteva una chiara legislazione nazionale in materia. Si dovette attendere la fine degli anni “80, quando emerse chiara l’esigenza di “regolamentare” il sistema biologico italiano. Nel 1982 nasce la “Commissione nazionale cos'è biologico”, con l'adesione dei movimenti dei consumatori, dei coordinamenti regionali e delle organizzazioni dei produttori. La commissione si trasforma in seguito in AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) che nel 1988, presenta le prime “Norme italiane di agricoltura biologica”. Da allora in poi, il mercato italiano del biologico, ha avuto una crescita costante sino all’attuale contesto, che vede il nostro paese, secondo i dati statistici comunicati dal SINAB (Il Sistema di Informazione Nazionale sull'Agricoltura Biologica, realizzato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in collaborazione con le Regioni) fra i principali produttori nella classifica mondiale per superficie destinata alle colture biologiche, con ben 1.113.740 ettari (dati 2010).


La legislazione

La prima direttiva comunitaria in tema “Bio” fu varata nel 1991 dalla commissione europea dell’allora Europa a quindici membri e pose fine alle quindici differenti agricolture bio nazionali europee, definendo un metodo biologico e un marchio, unici a livello comunitario.  Il Reg. CE 2092/91, nello specifico, definiva l’agricoltura Biologica come quel “sistema di gestione dell'azienda agricola che comporta restrizioni sostanziali nell'uso di fertilizzanti e antiparassitari, ai fini della tutela dell'ambiente e della promozione di uno sviluppo agricolo durevole”. Per elaborare questa definizione, la comunità europea si avvalse del Codex Alimentarius, un insieme di norme varate dai maggiori esperti a livello internazionale, ancora oggi, punto di riferimento per molte questioni in ambito agricolo e zootecnico.  

Il Codex considera “l'agricoltura biologica come un sistema globale di produzione agricola (vegetale e animale) che privilegia le pratiche di gestione piuttosto che il ricorso a fattori di produzione di origine esterna”. Secondo questa visione, i metodi colturali, biologici e meccanici vengono impiegati di preferenza al posto dei prodotti chimici di sintesi. Con il Reg. CE 2092/91 si regolamentava in sostanza, il metodo di produzione in ambito agricolo e l'indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari. Si dovette attendere, qualche anno più tardi, nel 1999, quando con il Reg. CE 1804/99 vennero regolamentate anche le produzioni animali. In seguito un’ulteriore revisione del Reg. 2092/91 portò nel 2005 alla nascita di due proposte da parte della Commissione Europea, volte ad un'ampia semplificazione e ad un miglioramento della normativa comunitaria, sia in tema d’importazione ed esportazione dei prodotti biologici, che di produzione ed etichettatura: la prima proposta si concretò con il Reg. del Consiglio 1991/2007, che di fatto applicava una modifica al Reg. CE. 2092/91 in tema di commercio internazionale, ed entrò in vigore dal gennaio 2007. L'altra, tuttora di grande rilevanza, il Nuovo Regolamento (CE) n. 834/2007 del 28 giugno 2007, sulla produzione biologica, controlli ed etichettatura dei prodotti biologici, fornì la definizione della produzione biologica, il suo logo e il sistema di etichettatura ed entrò in vigore dal 1° gennaio 2009.  

Secondo il Reg. (CE) 834/2007, l’agricoltura biologica è quel “sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo da un lato a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale”.  Il Reg. (CE) 834/2007 venne, più tardi, completato dalle “norme tecniche di applicazione” contenute nel Reg. (CE) 889/2008 della commissione del 5 settembre 2008, pubblicato sulla GUUE L 250 del 18/09/2008. Un regolamento quest’ultimo, davvero molto atteso dagli addetti al settore. Se infatti è il Reg. (CE) 834/2007, ad indicare sinteticamente obiettivi, principi e norme generali sulla produzione biologica, è il Reg. (CE) 889/2008 a stabilirne le norme applicative più specifiche e dettagliate. Attualmente, in definitiva il Reg. (CE) N. 889/2008 e il Reg. CE n. 834/2007, sono la principale normativa a cui fare riferimento, in ambito “biologico”. 

Vi è inoltre, da tener presente il Reg. UE N. 271/2010 della commissione del 24 marzo 2010 recante modifica del regolamento (CE) n. 889/2008, in cui si disciplina, l’utilizzo del nuovo logo biologico UE ( Fig. 1) . Nel regolamento si cita che Il logo biologico dell’UE è utilizzato soltanto se il prodotto di cui trattasi è prodotto nel rispetto dei requisiti stabiliti dal regolamento (CEE) n. 2092/91 e dai suoi regolamenti d’applicazione o dal regolamento (CE) n. 834/2007 e dei requisiti stabiliti nel presente regolamento. Infine vi è una consistente normativa nazionale che recepisce ed integra la normativa comunitaria, fra cui ci limitiamo a citare il Decreto Ministeriale n. 18354 del 27/11/2009, recante “Disposizioni per l’attuazione dei regolamenti (CE) n. 834/2007, n. 889/2008, n. 1235/2008 e successive modifiche riguardanti la produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici”.


Il gelato biologico

Moda passeggera o filosofia di vita poco importa, ciò che conta è che il mercato del gelato biologico ha un trend in continua crescita. Secondo gli ultimi dati forniti dall’'ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), il solo 2010 ha visto in Italia, una crescita del comparto alimentare legato all’agricoltura sostenibile, dell'11,6% su base annua.  Tra i prodotti di punta, il 2010 ha evidenziato un'ottima performance per i lattiero caseari (+13,2% sulla spesa domestica rispetto al 2009) e per l'insieme costituito da biscotti, dolciumi e snack (+13,5%).  Nord-Est e Mezzogiorno, rileva l’istituto, sono le macroripartizioni geografiche in cui emergono i maggiori incrementi. anche se il Nord-Ovest è l'area con la più alta incidenza sulla spesa nazionale.  Il consumo di prodotti biologici si conferma, comunque, un fenomeno localizzato prevalentemente nel Nord Italia, che concentra da solo oltre il 70% degli acquisti. 

Nonostante l’”apripista” del mercato Bio, dopo la vendita diretta, sia stata la GDO, la vendita al dettaglio seppure poco rilevante, è il canale che ha fatto segnare la crescita più marcata con un + 29,3%. La produzione del gelato artigianale biologico, nello specifico. si attesta in ascesa in tutta Europa e dopo la grande distribuzione, la sfida si sposta alle gelaterie artigianali, dove sono sempre più numerosi i maestri gelatieri che si misurano nell’affiancare ai propri gusti tradizionali, gusti di gelato biologico realizzati attraverso l’impiego di materie prime selezionate e certificate. 

Affinché un gelato possa essere etichettato come biologico, infatti, dovrà centrare i criteri stabiliti dalle normative comunitarie e nazionali citate in precedenza in quest’ articolo. Nello specifico, al capo quarto, Art. 19, comma 1, del Reg. CE 834/2007, relativo alla produzione di alimenti biologici trasformati, si legge testualmente “La preparazione di alimenti biologici trasformati è separata nel tempo o nello spazio dagli alimenti non biologici”, ciò vuol dire che il gelatiere che si accinga a preparare alcuni gusti di gelato biologico da affiancare alla sua consueta produzione, dovrà farlo, destinando momenti specifici della giornata lavorativa alla produzione dello stesso, affinché non vi sia contiguità fra le due produzioni, e quindi in definitiva, affinché non vi sia “contaminazione” fra le due produzioni. Gli operatori del settore alimentare, infatti, secondo il Regolamento applicativo CE 889/2008 Cap. 3, Art. 26, Comma 4, nel produrre un alimento biologico “adottano misure precauzionali per evitare il rischio di contaminazione da parte di sostanze o prodotti non biologici o comunque non autorizzati”, e inoltre qualora nello stesso ambito produttivo siano immagazzinati, prodotti o trasformati anche alimenti “non biologici”, gli operatori “ effettueranno le operazioni in cicli completi senza interruzioni e provvederanno affinché esse siano separate fisicamente o nel tempo da operazioni analoghe effettuate su prodotti non biologici” e comunque “ eseguiranno le operazioni sui prodotti biologici solo dopo un'adeguata pulizia degli impianti di produzione”. Sempre secondo il Reg. CE 889/08, il gelatiere che riceva la fornitura di materie prime (che ricordiamo dovranno essere certificate), da destinare alla produzione di gelato biologico, dovrà stoccarle in magazzino tenendole separate dalle altre e quindi, - si legge nella normativa - “provvederà al magazzinaggio dei prodotti biologici, prima e dopo le operazioni, separandoli fisicamente o nel tempo dai prodotti non biologici”. Vale la pena aggiungere che, questa netta distinzione fra produzione di gelato bio e convenzionale, dovrà estendersi anche agli utensili e accessori dedicati; quindi vaschette, palette, bicchieri etc. Insomma tutto ciò che sarà utilizzato per il gelato convenzionale non potrà essere utilizzato per il gelato bio, eccezion fatta ovviamente, per i macchinari che però dovranno subire accurata previa sanificazione, prima di procedere alla produzione biologica. Tenuto conto di questi accorgimenti nella scelta dei fornitori, nella ricezione delle materie prime, nello stoccaggio e nella pulizia, vediamo adesso cosa ci attende, nella fase di produzione. Innanzitutto gli ingredienti base dovranno, come già detto, essere certificati biologici lungo tutta la filiera produttiva e la loro percentuale minima dovrà essere del 95%. Essa si riferisce al “totale degli ingredienti ad eccezione dell’acqua e del sale da cucina aggiunti”. Nella produzione del gelato biologico sono inoltre, ammessi additivi ed eccipienti, purché ritenuti idonei dalla normativa quadro, così come riportato nell’All. VIII del Reg. 889/08. Fra gli additivi consentiti ricordiamo ad esempio (carragenina, acido citrico, acido ascorbico, gelatina, colla di pesce etc.). Gli aromatizzanti consentiti nella produzione del gelato bio, saranno a loro volta, esclusivamente di origine naturale. Non è consentito altresì l’utilizzo di coloranti di sintesi o additivi se non presenti nel disciplinare della normativa comunitaria. Sono invece consentiti nel processo di trasformazione dell’alimento biologico, alcuni alimenti non biologici, ritenuti innocui o comunque idonei dalla commissione ed elencati nell’allegato IX del Reg. 889/08 fra cui ricordiamo: (Frutti e semi commestibili come: Ghiande, Noci di cola, Uva spina, Frutti della passione, Lamponi essiccati, Ribes rosso essiccato), (Grassi ed oli vegetali anche raffinati purché non modificati chimicamente ottenuti da: Cacao, Cocco, Olivo, Girasole, Palma, Colza, Cartamo, Sesamo, Soia), (Zuccheri, amidi e altri prodotti ottenuti da cereali e tuberi come: Fruttosio, Cialde di riso, Sfoglie di pane azzimo, Amido di riso e granturco ceroso chimicamente non modificato). Nella produzione del gelato bio, il gelatiere dovrà inoltre accertarsi che nessun ingrediente ammesso sia ottenuto o derivato da OGM (Organismi geneticamente modificati). Quando la percentuale d’ingredienti biologici utilizzati, oscilli fra il 70 ed il 95%, l’operatore dovrà, altresì, apporre sul prodotto, una etichetta indicante l’elenco e l’esatta percentuale degli stessi e non potrà avvalersi del logo UE. Nel caso la percentuale d’ingredienti biologici utilizzata, come già detto, superi invece il 95%, non sarà necessario riportare la percentuale d’ingredienti biologici ma basterà applicare al prodotto il logo comunitario (Fig.1). Tuttavia, nel caso la percentuale d’ingredienti biologici superi o sia pari al 95%, ma non raggiunga il 100% del prodotto, la percentuale residua dovrà, comunque, rientrare fra i componenti consentiti ed elencati nel disciplinare europeo. Affinché questi obblighi siano rispettati, la normativa comunitaria istituisce degli organismi di controllo che vigilano sulle aziende. 

Gli organismi di controllo preposti, sono di solito enti privati a cui la legge assegna il compito di verificare il rispetto dei regolamenti attuativi da parte delle aziende biologiche e di rilasciare, a fronte di visita ispettiva il “Documento giustificativo” ovvero il “Certificato di conformità” secondo quanto stabilito dall’art. 29 del Reg. CE 834/2007 e concedere di seguito, il marchio da apporre alle etichette dei prodotti venduti. Gli organismi di controllo, meglio conosciuti come “Enti certificatori di prodotti biologici”, sono a loro volta riconosciuti e autorizzati dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Il gelatiere che decida, quindi, d’avviare la produzione e somministrazione di gelato biologico, dovrà notificarlo in duplice copia all’assessorato all’agricoltura della propria regione d’appartenenza e all’ente di certificazione prescelto, che si occuperà fra l’altro della visita ispettiva e del rilascio dei certificati d’idoneità oltre che del logo. Ricordiamo che gli enti di certificazione sono preposti al controllo ed alla verifica e non all’assistenza tecnica. 

A proposito del logo inoltre, è bene sottolineare, che sulla base della normativa comunitaria, esso si deve apporre ai prodotti chiusi confezionati ed etichettati con una percentuale prodotto di origine agricola bio almeno del 95%, quindi, nel nostro caso, solo sui gelati confezionati. Per i gelati freschi sarà sufficiente apporre il “cartello unico”, dove s’informerà il cliente sulla genuinità del prodotto bio e dei suoi ingredienti. Risulta del tutto evidente, alla luce di quanto sopra esposto, che la sfida, del gelatiere che decida d’offrire alla propria clientela del gelato biologico, si gioca sostanzialmente su due fronti:”l’attenta scelta delle materie prime e quindi dei fornitori e un’accurata pianificazione e gestione della produzione di gelato bio che dovrà nettamente separarsi dalla convenzionale”. In realtà, la capacità di saper trasmettere al cliente questa distinzione fra le due produzioni è un fattore chiave di successo. 

Il biologico ha un suo linguaggio oltre che una sua filosofia ed è bene che il gelatiere ne tenga conto affinché il messaggio passi in maniera chiara e inequivocabile al cliente. Un adeguato addobbo della vetrina dedicata al biologico nonché creatività e gusto nella presentazione del gelato, che rimandi ai temi della natura e del vivere sano, sarà certamente un valore aggiunto su cui investire. 

Il cliente del biologico, d’altra parte è di solito un cliente attento e sensibile ai temi ambientali e della salute e gli addetti del settore, generalmente lo distinguono secondo tre profili: ”L’attento, il curioso e l’informato”. L’attento è colui che presta molta attenzione alla salute sua e della sua famiglia e per cui cerca nel prodotto biologico quella garanzia di genuinità e quella “rassicurazione”, che altri prodotti non riescono a trasmettergli. Il curioso, invece è colui che passando di fronte al negozio, in questo caso alla gelateria, e vedendo il gusto bio, decide d’entrare per provare la novità e soddisfare la sua sete di curiosità. L’informato infine, è colui che ha letto e studiato le caratteristiche del biologico, ne conosce tutti gli aspetti e decide d’acquistarlo con ragion di causa. 

Al di là di questo, in conclusione, possiamo dire che biologico è certamente sinonimo di qualità. Scegliere un gelato biologico vuol dire niente grassi idrogenati, aromi sintetici, stabilizzanti o coloranti artificiali. Le materie prime accuratamente selezionate, certificate e provenienti da produttori conosciuti e affidabili, garantiscono che le basi per un prodotto d’eccellenza, ci siano tutte. I parametri estremamente rigorosi e selettivi nella concessione del logo comunitario, fanno si che il cliente attento e sensibile si senta rassicurato sulla genuinità e sia quindi disposto a pagare quel sovrapprezzo che attualmente caratterizza i prodotti bio rispetto ai convenzionali. Dedicarsi al biologico può quindi essere una scelta appagante sia dal punto di vista professionale che remunerativo. Certamente bisogna essere disposti a dedicarvi tempo sia in termini d’aggiornamento sia di maggiore attenzione in fase produttiva ed espositiva. 

La sfida ad ogni modo è interessante ed è aperta, non resta che raccoglierla, non accontentandosi mai della mediocrità ma puntando sempre all’eccellenza e ricordandosi che acquistare un prodotto biologico, spesso vuol dire contribuire alla salvaguardia di un piccolo appezzamento produttivo di alta montagna che senza questa tipologia di mercato, probabilmente avrebbe già chiuso i battenti da un pezzo.


martedì 17 febbraio 2015

GIORNALISMO: "PILASTRO DELLA DEMOCRAZIA"


Internet sta cambiando il mondo e con esso anche il modo di fare giornalismo. Il giornalismo partecipativo, che ha avuto una delle sue massime espressioni nel quotidiano coreano "Ohmy News", si espande lentamente ma inesorabilmente, grazie al web. Esiste però e sempre esisterà, a mio giudizio, il "professionista" della comunicazione. Il Giornalista che si occupa esclusivamente di verificare e poi trasmettere l'informazione ai cittadini. Il giornalista, d’altra parte è quel professionista che dovrebbe e sottolineo il condizionale, essere "occhi ed orecchie" dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Questo è il suo ruolo primigenio in seno ad una Democrazia.

Il vero giornalista dovrebbe essere “spina nel fianco” di chi opera nelle istituzioni al servizio dei cittadini, pagato dai cittadini stessi.

Le grandi testate nazionali, in formato cartaceo ma soprattutto on-line, dovrebbero sempre, avere uno spazio a disposizione di tutti i giornalisti che hanno da dare notizie importanti alla popolazione. Nessuna censura o filtro da parte del direttore, proprio perché il Giornalista è già un professionista dell'informazione, che si assume tutta la responsabilità, sia in sede civile che penale, di ciò che scrive.

Al Giornalista, inoltre, andrebbe riconosciuta per legge, la possibilità d’indagare e investigare, con la stessa “priorità di ruolo” delle forze dell’ordine, l’operato dei cittadini, impiegati a qualunque titolo, nelle istituzioni pubbliche.

Questo consentirebbe al Giornalismo di ritornare ad essere uno dei pilastri sani e fondamentali di una democrazia e di questo, tutto il sistema ne beneficerebbe.

mercoledì 11 febbraio 2015

ITALIANI E CREATIVITA'

 


Quando alla Conferenza di Doha nel 2001, all'unanimità dei voti, Italia compresa, la Cina entrò di fatto nell'Organizzazione Mondiale del Commercio OMC/WTO, ricordo una frase per radio di uno dei soliti commentatori presenti ovunque, che disse testuali parole:" L'ingresso della Cina nel WTO non comporterà alcun problema per l'Italia, anzi, la nostra proverbiale creatività italiana, consentirà ai nostri "industrialotti" di aggredire un mercato enorme, come quello cinese e di fare profitto". Eh! A distanza di poco più di un decennio, li abbiamo visti tutti i profitti. I Cinesi ci hanno fatto un mazzo che la metà sarebbe bastato. Questo a riprova di quello che pensai già allora:" La creatività non è designata da un gene" e se anche lo fosse, a quel punto entrerebbe in gioco l'epigenetica e quindi l'influenza dell'ambiente esterno, sull'espressività di quel gene stesso. La creatività non ha nazionalità, non ha razza nè colore. La creatività è semmai un fatto soggettivo, fortemente influenzato dall'ambiente esterno. L'italiano medio vive oggi sotto il peso costante di un giogo che ne opprime e ne soffoca sul nascere, qualunque impulso o stimolo creativo. Quando per mantenere la tua famiglia o anche solo per mantenere te stesso, sei costretto ad alzarti alle cinque di mattina, lavorare dodici ore al giorno, dare il 68% dei tuoi guadagni allo stato a fronte di servizi e di un welfare sempre più ridotto e malandato, far fronte, spesso, a multe inesistenti (come hanno dimostrato molte inchieste) incalzati da Equitalia...bhe la creatività, seppur ci fosse, andrebbe a farsi benedire". I risultati si vedono. La creatività, oggi, è altrove, non certo in Italia e questo commovente video, lo dimostra appieno. Cosa fare per rilanciare la creatività ? Semplice! Riportiamo serenità e gioia di vivere nelle famiglie italiane, semplificando la burocrazia, riducendo la tassazione a livelli "giusti" ed incrementando la percezione di etica, onestà e giustizia da parte di uno stato che dovrebbe sempre essere amico, difensore, supporto e mai tiranno.


sabato 7 febbraio 2015

LUCANIA E IDROCARBURI


BASILICATA : Una regione in continuo spopolamento dove gli emigranti sono più dei residenti. Un luogo ideale dove occultare veleni e gestire gli scarti industriali senza il timore di essere visti da occhi indiscreti. I veleni della Basilicata finiscono raramente sotto i riflettori. Giuseppe Di Bello è un tenente della polizia provinciale di Potenza che da privato cittadino aveva svolto indagini sull'inquinamento delle acque del bacino idrico del Pertusillo in Val d'Agri. Da quelle analisi sono emersi valori pericolosi: arsenico, bario, cadmio, alluminio ed altri metalli pesanti erano presenti nelle acque in grandi quantità. L'allora assessore all'ambiente della Regione Basilicata Vincenzo Santochirico prima per procurato allarme, poi quando dopo poche settimane si registrò una incredibile moria di pesci nel bacino che allertò le istituzioni, per rivelazione di segreto d'ufficio. Proprio nei pressi del bacino del Pertusillo c'è un centro olii dell'Eni per la desulfurizzazione del petrolio estratto in tutta la Basilicata. Il tenente Di Bello è stato condannato in primo e secondo grado e sospeso per tre mesi dal servizio senza paga. Dopo il suo reintegro non è mai piu' tornato a dirigere la polizia provinciale di Potenza.

Ma sono tante le storie di veleni in Lucania e spesso chi deve controllare diventa complice dello scempio. I vertici dell'ARPAB sono stati arrestati per aver occultati per dieci anni i dati relativi all'inquinamento dei terreni intorno all'inceneritore La Fenice di San Nicola Melfi, in provincia di Potenza, avvelenati da metalli pesanti e diossine.

Ma il sito che desta maggiore preoccupazione è quello dell'area ex Liquichimica dell'area industriale di Tito vicino Potenza. Una ex fabbrica di fertilizzanti chiusa nel 1984. Un area di 59 mila metri quadrati dove migliaia di tonnellate di fosfogessi, materiali nocivi che venivano utilizzati per la produzione di fertilizzanti, sono state interrate nell'area delle vasche di decantazione delle acque usate nell'impianto ormai chiuso. Le analisi svolge nel 2001 già segnalavano il pericoloso inquinamento delle acque di falda che inquinavano anche i fiumi circostanti l'area. Ma solo nel 2013 l'agenzia regionale per l'ambiente della Basilicata ha certificato l'inquinamento delle acque. Si sono dodici anni prima di avviare a bonifica il sito. Il CIPE ha stanziato 23,3 milioni di euro per la bonifica dell'area, che devono essere impegnati entro il 31 dicembre 2013 e spesi entri il 2015 pena la revoca del finanziamento. Al momento nell'area ex Liquichimica tutto è fermo

(Testo riportato senza modifiche dalla didascalia del video a questo link https://www.youtube.com/watch?v=4xBWmZ4m4Yk )