La produzione industriale, principale indicatore di salute di un'economia, torna in negativo. A maggio segna un -0,6%
sia rispetto ad aprile sia rispetto al maggio del 2015. Le diminuzioni
maggiori si registrano nei settori dell'attività estrattiva (-13,5%),
della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-9,7%) e
delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-6,5%). Il
Bomba racconta da mesi una bella favola agli italiani: parla di ripresa,
di meraviglie del Jobs Act e di crescita. La realtà è molto diversa.
Nel 2015 l'Italia ha beneficiato di condizioni esterne molto favorevoli
che, mentre evaporano, lasciano sotto gli occhi di tutti i fallimenti del Governo.
Basti pensare che lo scorso anno il prezzo del petrolio è calato molto
più del previsto, la Bce ha iniettato liquidità nel sistema e l'euro, di
conseguenza, si è svalutato. Tre fattori che hanno favorito l'economia
italiana indipendentemente dall'azione di Governo. È lecito pensare che
senza la spinta esterna anche il 2015 si sarebbe chiuso in recessione,
dato che il Pil è cresciuto comunque di un misero zerovirgola.
Il 2016 costringerà il Bomba a gettare la maschera. Tra
Brexit, rallentamento cinese e sofferenze bancarie la spinta esterna
non verrà più in soccorso del Governo. Basti pensare che secondo le
previsioni governative di ottobre il Pil 2016 sarebbe dovuto crescere
del +1,6%. Già nei primi mesi dell'anno, però, i maggiori istituti
statistici nazionali e internazionali rivedevano la stima al ribasso e
l'Istat a maggio la abbassava di 0,5 punti, all'1,1%. Altri due mesi e
la stima scende ancora. Prometeia ha corretto il Pil 2016 al +0,8%,
la metà esatta della stima del Governo, e siamo appena a luglio. Il
pessimismo, tra l'altro, si estende anche agli anni successivi. Secondo
un'altra società di ricerca, Ubs, solo la Brexit potrebbe costare agli italiani lo 0,7% del Pil di qui al 2019, vale a dire circa 10 miliardi di euro di ricchezza. Scenari che non considerano il fallimento di una grande banca italiana come Mps,
che è invece nell'ordine delle cose, anche perché il Governo, stretto
nella morsa europea dell'austerità, non può e non vuole reagire come si
dovrebbe.
Queste ampie oscillazioni del Pil stimato sono il prezzo della globalizzazione. L'economia italiana si è aperta sempre più all'integrazione commerciale e finanziaria e ha partecipato ad una competizione nella quale può solo uscirne malissimo, rinunciando a fondamentali strumenti economici e monetari. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: salari fermi, rapporto debito/Pil in costante crescita, profitti e produttività in calo, svendita delle imprese strategiche nazionali pubbliche e private, smantellamento dello Stato sociale e tagli indiscriminati a Sanità, Istruzione ed Enti locali.
È ovvio che la produzione industriale ristagni, che il personale qualificato emigri e che il sistema bancario rischi di crollare sotto una montagna di sofferenze prodotte dal fallimento dei debitori (famiglie e imprese). L'Italia si sta lentamente ma inesorabilmente de-industrializzando.
Fonte: http://www.beppegrillo.it/2016/07/la_scomparsa_dellindustria_nazionale.html
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