martedì 20 dicembre 2016

TRUMP SUPERA ANCHE L'ULTIMO OSTACOLO SULLA CONFERMA DEI GRANDI ELETTORI. DA OGGI E' UFFICIALMENTE IL 45° PRESIDENTE USA

Trump supera l’ultimo ostacolo:
la conferma dei grandi elettori

Nessuna sorpresa: superata la soglia dei 270 voti. Il tycoon è il 45° presidente degli Stati Uniti d’America

domenica 18 dicembre 2016

" IN ITALIA AVERE FORTUNA SI DICE: "AVERE CULO. PERCHE' ? "



«Ma perché “avere culo” significa “avere fortuna”? Perché si dice così?».

In effetti lo diamo per scontato, ma il legame fra “lato B” e fortuna è tutt’altro che lineare: che cosa c’entra la buona sorte con i glutei? In apparenza, proprio nulla.

Insomma una questione interessante, tanto più che questo modo di dire non è solo italiano, ma ha un corrispettivo sia in spagnolo (tener culo) e in inglese: booty (fondoschiena) vuol dire anche bottino, vincita.
Sul Web ho trovato due spiegazioni su questo curioso modo di dire. La prima ricollega l’espressione alla pederastia dei Romani: “i bei giovani dai glutei appetitosi venivano molto richiesti dai Romani che, per poterli possedere sessualmente, li ricoprivano di regali. Così, avere un bel posteriore, per un ragazzo, era indizio di una vita più fortunata rispetto ai propri coetanei”.
L’ipotesi però, non regge, perché la pederastia ha avuto alti e bassi nell’antica Roma (in alcune epoche fu condannata), e il ruolo omosessuale passivo era comunque disprezzato: difficile che in queste condizioni i glutei maschili potessero diventare simbolo universale di buona sorte. Tanto più che era ben diffuso l’apprezzamento per i glutei femminili, come testimonia la statua della Venere callipige (dal bel sedere) esposta al Museo archeologico di Napoli.
L’altra spiegazione che circola sul Web fa riferimento a un fatto storico: le forche caudine, ovvero l’umiliazione dei Romani sconfitti dai Sanniti nel 321 a.C. Secondo alcuni, alla fine, i Romani furono sodomizzati uno a uno e “chi aveva un ano più grande (sic!) soffriva meno, quindi era più fortunato” 

Ma è plausibile immaginare un intero esercito che ne sodomizza un altro in un campo di battaglia? Non direi, tanto più che nelle cronache dell’epoca non se ne parla: non citano uno scenario del genere le due fonti che parlano di quella battaglia, ovvero Tito Livio (in “Ab urbe condita”), e Paolo Orosio, peraltro entrambi vissuti secoli dopo.

Dunque, le ragioni dell’equivalenza glutei=fortuna devono stare altrove. Ma dove? La letteratura non ci viene in aiuto: «l’espressione ‘avere culo’ è abbastanza recente» dice il lessicografo Giovanni Casalegno. «Nel “Grande dizionario della lingua italiana” del 1964 è presente, ma non si cita alcuna fonte letteraria». Ma se la letteratura non ci aiuta, può venirci in soccorso la scienza. Quale significato evolutivo hanno i glutei? Per capirlo, bisogna osservare che uso ne fanno le specie più vicine a noi, ovvero i primati. L’etologo Desmond Morris ha dedicato diverse pagine all’argomento, nel bellissimo libro “L’uomo e i suoi gesti”.

“Pare che le grosse e rotonde natiche femminili siano un antico segnale di richiamo sessuale, l’equivalente umano del gonfiore delle femmine degli altri primati” scrive Morris. “Per lanciare un segnale sessuale al maschio, la scimmia femmina gli presenta il posteriore nel modo più cospicuo possibile. Nelle scimmie di tutte le specie, questo gonfiore aumenta e diminuisce secondo il ciclo mensile della femmina, raggiungendo la dimensione massima nel periodo dell’ovulazione (…).Tale mutamento non ha luogo invece nella femmina umana: le natiche rimangono ‘gonfie’ per tutta la fase riproduttiva della sua vita, proprio come lei stessa è sempre sessualmente responsiva. (…) E ai due emisferi delle natiche femminili fanno riscontro i due emisferi dei seni. (…) A causa della nostra peculiare postura di locomozione, la parte ‘di sotto’ è diventata ‘il davanti’ e questo davanti è l’area più prontamente disponibile per le esibizioni sessuali”.

Dunque, i glutei sono un segnale primario di disponibilità sessuale (mentre il seno è un segnale derivato: riproduce le forme dei glutei sul davanti). Ma sono anche segno di fecondità: un sedere rotondo segnala la presenza di estrogeni e di sufficienti riserve di grasso per affrontare la gravidanza e l’allattamento.

Ma non è tutto. “In alcuni gruppi etnici” aggiunge Morris “il segnale delle natiche raggiunge estremi molto maggiori di quanto si sia abituati a vedere in occidente. Nelle tribù africane dei boscimani e degli ottentotti esiste una condizione nota come steatopigia, in cui le natiche diventano due enormi protuberanze grasse, di dimensioni parecchie volte maggiori a quelle delle natiche ordinarie. E le figure intagliate dagli artisti preistorici mostrano sovente la stessa caratteristica, per cui essa deve esser stata presente in antico non solo in Africa ma anche in Asia e in Europa. Sembra probabile che per le prime donne la steatopigia fosse una condizione normale, invece che rara, e che le boscimane e le ottentotte di oggi siano semplicemente gli ultimi esempi della forma originale della femmina umana, come appariva alcune migliaia di anni orsono. Forse la risposta maschile moderna agli ‘emisferi’ femminili deve molto della sua forza a questa antica condizione, che certo faceva delle natiche femminili un potentissimo segnale di identità sessuale”.

Dopo la preistoria, il ruolo dei glutei è stato rilanciato (per meglio dire, sfruttato) nel secolo scorso dalla pubblicità, in particolare dai produttori dei jeans, che ha enfatizzato la vestibilità dei pantaloni valorizzandone l’aderenza al “lato B”. Come dimostrano le pubblicità, davvero numerose (e quasi ossessive), sul tema.

Dunque, tirando le somme: i glutei sono simbolo di femminilità, sesso, fecondità, attrattività, felicità (che, etimologicamente, significa fecondità). Per il linguista Ottavio Lurati,  le parti anatomiche collegate alla riproduzione (quindi non solo il sedere, ma anche il fallo e la vagina) hanno un valore vitale così alto che sono usate simbolicamente “come forze apotropaiche per allontanare il dolore, la magia, il male, il malocchio: dunque, aver culo significa aver fortuna”. La spiegazione è plausibile, visto che la sessualità è vita e come tale scaccia la morte. Ma mi pare più un uso simbolico che deriva da un aspetto ben più originario e pratico: un bel sedere è per una donna un grande vantaggio perché può attrarre più partner e consentirle di scegliere il più forte, il più ricco, il più intelligente. Se non è fortuna, questa! Del resto, come diceva l’ex prostituta Nell Kimball, autrice di “Memorie di una maitresse americana”: “Ogni ragazza siede sulla sua fortuna, e non lo sa”. 

sabato 17 dicembre 2016

OUTLOOK MACROECONOMICO:" IL DISASTRO ITALIANO "

Altro che crescita: per il quattordicesimo trimestre di fila, il Pil italiano fa segnare un andamento peggiore di quello della media dell’Unione Europea. Un’analisi del Centro studi ImpresaLavoro (condotta analizzando le rilevazioni che misurano lo scostamento rispetto al trimestre precedente) rivela infatti che dall’insediamento del Governo Monti ad oggi il nostro Prodotto interno lordo è sempre andato peggio della media dei nostri partner europei.

Il +0,3% fatto segnare nel primo trimestre del 2015 non deve trarre in inganno. Se guardato in chiave comparata si tratta di un dato tutt’altro che esaltante: la media dell’Europa a 28 cresce dello 0,4%, la Spagna dello 0,9%, la Francia dello 0,6%. Come noi crescono sia Germania che Regno Unito, ma con una piccola differenza: questi Paesi hanno sempre fatto sensibilmente meglio di noi in tutti i 13 precedenti trimestri. E solo in un trimestre su quattordici non siamo risultati gli ultimi in assoluto tra i grandi Paesi europei: è accaduto nel terzo trimestre del 2012, quando la Spagna ha fatto leggermente peggio di noi (-0,30% contro -0,20%).

Concretamente questo significa che – fatto 100 il Pil nel terzo trimestre 2011 – quello italiano vale oggi in termini reali 95,4 contro una media europea di 101,8. Ci battono praticamente tutti i Paesi: negli ultimi 14 trimestre il Regno Unito ha visto crescere il suo Pil del 6%, la Germania del 3,8%, la Francia dell’1,1%, la Spagna dello 0,5%. Il reddito prodotto in Italia è invece sceso del 4,6%.


IL DISASTRO ITALIANO IN VENTI GRAFICI

Dal sito  del CIPE,  riportiamo questa serie impressionante di grafici, basati sulle cifre di lungo periodo, utili come strumento di lettura delle trasformazioni economiche che il Paese sta affrontando.

La presentazione dei grafici sui principali indicatori economici dell’economia italiana dal 2000 ad oggi, confrontati con l’andamento medio europeo, permette di cogliere l’evoluzione nel tempo della situazione economica italiana, assai precaria, solo per usare un eufemismo.
Questi dati vengono associati alle previsioni (sempre errate) e agli obiettivi quantitativi del Governo, in particolare per quanto riguarda la crescita economica, l’indebitamento netto e il debito pubblico, individuati nel Documento di economia e finanza (DEF).


PRODOTTO INTERNO LORDO
Tasso di crescita del PIL reale
 Il tasso di crescita italiano ha toccato il 3,7% nel 2000, subendo successivamente un calo del tasso di crescita più pronunciato rispetto a quello della media dell’UE27, pur rimanendo positivo fino al 2007. Si sono poi verificate due fasi durante le quali il PIL è diminuito in valore assoluto, nel 2008-2009 e nel 2012-14. Il DEF di aprile 2015 prevede un ritorno su di un sentiero di crescita nel 2015-19, toccando un massimo di +1,5% nel 2017.
Elaborazione DIPE su dati Eurostat, Istat e sui dati programmatici del DEF di aprile 2015. Il dato è riferito al tasso di crescita del Prodotto interno lordo (PIL) dell’Italia e a quello medio dell’Unione europea a 27 membri. I dati sul PIL italiano per il 2000-2014 sono aggiornati in base alla revisione effettuata dall’Istat a settembre 2014 in attuazione del nuovo sistema europeo di conti nazionali SEC 2010. Per il 2014-2019 sono indicate le previsioni del Governo italiano contenute nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza Livello del PIL italiano

 Il livello del PIL italiano, misurato su base trimestrale, ha conosciuto una fase di crescita dal 2000 fino al primo trimestre del 2008, pur con una fase di ristagno dal secondo trimestre 2001 al secondo trimestre 2003. Dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2009 si è concretizzata la più intensa fase di crollo del PIL dal dopoguerra ad oggi, seguita da una ripresa dal terzo trimestre 2009 al secondo trimestre 2011. Dal terzo trimestre 2011, il PIL ha subito un ulteriore calo, attenuatosi a partire dal secondo trimestre 2013.
Elaborazione DIPE su dati Istat. Il grafico illustra l’andamento del Prodotto interno lordo italiano reale, cioè espresso in milioni di euro a prezzi costanti (sono stati usati i prezzi del 2010 comunicati dall’Istat a dicembre 2014 per il periodo 2009-2014, retroproiettati sul periodo precedente per il quale i dati erano disponibili a prezzi 2005). I dati trimestrali sono stati destagionalizzati per il ciclo economico e aggiustati per il numero di giorni lavorativi.
 
Evoluzione del PIL procapite nell’Unione Europea
 Il PIL procapite italiano è calato in termini relativi dal 119% della media dell’UE 28 nel 2001 fino al 98% nel 2013. Tale calo ha caratterizzato anche Francia e Gran Bretagna e in misura minore la Spagna, che era invece cresciuta fino al 2007. La Germania invece, che aveva mantenuto un reddito procapite relativo sostanzialmente stabile dal 2000 al 2009, ha conseguito nel 2010-13 un consistente miglioramento.
Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Il grafico mostra l’evoluzione del PIL procapite nei maggiori paesi europei in percentuale del PIl procapite medio dell’Unione europea nel suo complesso.
 
Produzione industriale in Italia e nella zona euro
La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare.Elaborazione DIPE su dati OCSE. L’indice della produzione industriale misura la variazione nel tempo del volume fisico della produzione effettuata dall’industria in senso stretto (ovvero con esclusione delle costruzioni). Le serie sono state calcolate prendendo come base il primo mese del 2000, posto uguale a 100, con dati mensili OCSE.
 
FINANZA PUBBLICA
Deficit pubblico e previsioni
 L’indebitamento netto italiano, espresso in % del Pil, mostra, fino al 2008, un livello superiore a quello medio Ue 27. Successivamente, a seguito dell’impatto della crisi internazionale del 2008, l’indebitamento netto italiano è cresciuto significativamente meno della media europea ed è sceso al di sotto del livello medio UE. Il deficit pubblico italiano si è ridotto dal 5,3% nel 2009 al 2,9% nel 2013. L’Italia prima di altri paesi europei è rientrata entro il limite del 3%. Il DEF prevede di usare nel 2014 e nel 2015 lo spazio di bilancio disponibile per sostenere il livello di attività economica e raggiungere il pareggio di bilancio nel 2018.
Elaborazione DIPE su dati Eurostat, Istat e sui dati programmatici del DEF di aprile 2015. Il dato è riferito all’indebitamento netto italiano (flusso annuo), conosciuto più genericamente come “deficit pubblico”, calcolato in base agli accordi europei. Il dato Eurostat, relativo all’Italia e alla media dei paesi UE a 27, è espresso in percentuale del Prodotto interno lordo. I dati sull’indebitamento netto italiano sono aggiornati in base alla revisione effettuata dall’Istat a settembre 2014 in attuazione del nuovo sistema europeo di conti nazionali SEC 2010. Per il 2015-2019 sono indicate le previsioni del Governo italiano contenute nel Documento di Economia e Finanza, di aprile 2015.
 
Debito pubblico e previsioni
 Il debito pubblico italiano in percentuale del PIL ha seguito tra il 2000 ed il 2007 un andamento leggermente calante, dal 105,1% al 99,7% del PIL, pur rimando a un livello più elevato di quello della media UE. A partire dal 2008 il debito ha ripreso a crescere, ma con un trend meno veloce rispetto alla media Ue, almeno fino al 2011. Il sostegno finanziario ad altri paesi in difficoltà nell’area euro ha comportato un aumento temporaneo del debito di oltre tre punti di PIL.  Il DEF di aprile 2015 prevede che il debito torni a calare a partire dal 2016.
 Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia, Istat e sui dati programmatici del DEF di aprile 2015. Il dato è riferito al debito pubblico italiano (stock accumulato nel corso del tempo). Il dato Banca d’Italia, relativo all’Italia e alla media della zona euro diversi dall’Italia, è espresso in percentuale del Prodotto interno lordo. I dati sul debito pubblico italiano sono aggiornati in base alla revisione del PIL effettuata dall’Istat a settembre 2014 in attuazione del nuovo sistema europeo di conti nazionali SEC 2010. Per il 2014-2019 sono indicate le previsioni del Governo italiano contenute nel Documento di Economia e Finanza di aprile 2015.
 
Spesa delle amministrazioni pubbliche in % del PIL
 La spesa pubblica totale in percentuale del PIL e di quella al netto degli interessi passivi e degli investimenti sono caratterizzate da un trend nettamente crescente dal 2000 al 2009. Il picco massimo della spesa totale viene raggiunto nel 2009 con una percentuale sul PIL pari al 51,1% (il dato è quello successivo rispetto alla revisione del Pil di settembre 2014). Il Documento di economia e finanza prevede cali consistenti nei prossimi anni, fino al 46,9% nel 2019, mentre le spese correnti al netto degli interessi scenderanno dal 42,8% del 2014 al 40% nel 2019.
Elaborazione DIPE su dati Istat, Banca d’Italia e sui dati programmatici del DEF di aprile 2015. La spesa delle Amministrazioni pubbliche è sia nel suo complesso che al netto del pagamento di interessi passivi sul debito pubblico e della spesa in conto capitale.
 
Prestazioni sociali, pensioni e redditi da lavoro dipendente nella PA in % del PIL
Dagli anni ’80 ai nostri giorni la spesa per i redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione e quella per prestazioni sociali sono andate divergendo. I redditi da lavoro dipendente mostrano un trend leggermente decrescente. Raggiungono il loro picco massimo nel 1990 con il 12,2% del PIL per poi scendere a un minimo del 10,1% del PIL nel 2000, risalendo all’10,9% del PIL nel 2009 per poi calare nuovamente. Diversamente dai redditi la spesa per prestazioni sociali (che è composta per quasi l’80% da spesa pensionistica) è cresciuta a un ritmo elevato: nel 1980 era poco superiore alla spesa per redditi da lavoro dipendente nella PA (12,3 % del PIL) ed ha conosciuto una forte crescita superando oggi il 20% del Pil, in parallelo all’invecchiamento della popolazione, con l’eccezione di una fase di stabilizzazione nel decennio successivo al 1994.Elaborazione DIPE su dati Istat, Eurostat, Banca d’Italia e DEF. Il grafico mostra l’evoluzione in % del PIL della spesa per redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione e la spesa per prestazioni sociali in denaro, di cui la spesa per pensioni (incluse quelle indennitarie e assistenziali) costituisce la componente più consistente. La serie è riferita ai dati successivi alla rivalutazione del PIL di settembre 2014.
PREZZI
Tasso d’inflazione in Italia e nella zona euro
Il tasso di inflazione della zona Euro e quello italiano sono rimasti sostanzialmente stabili, oscillando attorno al 2% e non superando il 3% tra il 2000 e il 2007. Da allora vari shock hanno provocato due fasi di forte aumento e due fasi di forte calo del tasso d’inflazione. Sono legate in parte alle fluttuazioni del prezzo del petrolio (cresciuto fino a metà del 2008, crollato poi fino a metà del 2009, poi nuovamente in forte aumento, con un nuovo crollo nella seconda metà del 2014). Le due recessioni del 2008-2009 e 2012-2014 hanno ulteriormente contribuito ad abbassare l’inflazione vicino allo zero sia nel 2009 che nel 2014. Da maggio 2013 a ottobre 2014 l’Italia ha un tasso di inflazione leggermente inferiore alla media UE, dopo un lungo periodo nel quale era stato maggiore.Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Il grafico presenta, per ogni mese, l’indice armonizzato della variazione dei prezzi al consumo per l’intera collettività, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le due serie illustrano il dato italiano e la media della zona euro.
Andamento dei prezzi alla produzione
I prezzi industriali alla produzione sono caratterizzati da oscillazioni molto più ampie rispetto a quelle dei prezzi al consumo, con un margine di oscillazione di circa 15 punti (tra un aumento massimo dei prezzi alla produzione del 7,7% a luglio 2008 e un calo massimo del 7,6% a luglio del 2009). Tali oscillazioni hanno comportato periodi di calo annualizzato dei prezzi alla produzione di 10-12 mesi in Italia e nella zona euro nel 2001-2002, di 2-3 mesi nel 2004, di 12 mesi nel 2009 e di 24-23 mesi a partire da marzo 2013. La fase attuale di calo dei prezzi alla produzione è la più duratura degli ultimi quindici anni ed è più intensa in Italia che nella zona euro.Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Il grafico presenta l’andamento dei prezzi alla produzione dei prodotti dell’industria in senso stretto (escluse le costruzioni), riportando le variazioni per ogni mese rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Vengono confrontati il dato italiano e la media della zona euro a 18 membri..
OCCUPAZIONE
Tasso di occupazione
I tassi di occupazione italiano e della zona euro sono aumentati entrambi fino alla crisi del 2008 (dal 57,4% al 63% per l’Italia e dal 65,5% al 70,2% per la zona euro). Successivamente, nel 2008-2013, il tasso di occupazione è calato sensibilmente per entrambe le aree, pur senza perdere tutti i guadagni del periodo precedente (dal 63% al 59,8% per l’Italia e dal 70,2% al 67,7% per la zona euro). Fino al 2008 l’Italia era caratterizzata da una fase di lenta ma continua convergenza verso il tasso di occupazione medio della zona euro, convergenza che si è fermata dopo il 2008, Nel 2014 è tornato a crescere il tasso di occupazione medio sia in italia che nella zona euro.Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Il grafico presenta il tasso di occupazione (pari al numero di occupati di età compresa tra i 20 e i 64 anni diviso per la popolazione residente della medesima fascia di età) in Italia e nella Zona euro a 18 membri. I dati sono la media annuale calcolata da Eurostat.
Tasso di disoccupazione in Italia e nella zona euro
Dal 2000 al 2007 il tasso di disoccupazione italiano si è quasi dimezzato (dal 10,6% al 5,8%) scendendo sotto la media della zona euro. Successivamente, l’impatto della prima recessione ha portato a un aumento della disoccupazione in Italia, aumento tuttavia meno consistente rispetto alla media della zona euro. La seconda recessione invece ha avuto un impatto molto più forte in Italia che non in Europa (il tasso di disoccupazione in Italia è aumentato di 5,4 punti, passando dal 7,8% di aprile 2011 al 13,2% di ottobre 2014, mentre la media della zona euro è aumentata nello stesso periodo solo di 1,7 punti, dal 9,8% all’11,5%). Nel 2014 l’aumento del tasso di disoccupazione è avvenuto in parallelo all’aumento del numero di occupati, perché numerose persone classificate come “inattive” hanno deciso di entrare nel mercato del lavoro.Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Il grafico presenta il tasso di disoccupazione destagionalizzato, che è pari al numero di disoccupati che hanno cercato attivamente lavoro nel periodo precedente l’indagine diviso per il numero di componenti della forza lavoro (a sua volta pari al numero di occupati più il numero di persone in cerca di lavoro). Il dato utilizzato, relativo all’Italia e alla zona euro, è calcolato su base mensile da Eurostat.
Numero di occupati in Italia
Il numero di occupati è cresciuto di oltre 2 milioni dall’inizio del 2000 al secondo trimestre del 2008. Con la crisi del 2008-2009 il numero di occupati si è ridotto di circa 600.000 unità tra il secondo trimestre del 2008 e il secondo trimestre del 2010. La ripresa economica del 2010-11 ha portato ad un leggero recupero fino al primo trimestre del 2012. Da allora, fino al quarto trimestre 2013, con la seconda recessione, vengono persi ulteriori 600.000 posti di lavoro. L’occupazione ha ripreso a crescere nel 2014.Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Il grafico presenta il numero assoluto destagionalizzato di occupati di 15 anni e oltre in Italia. Il dato utilizzato, relativo all’Italia, è calcolato su base trimestrale dall’Istat..
COMMERCIO CON L’ESTERO
Esportazione e importazione di beni e servizi dell’Italia
Sia le esportazioni che le importazioni sono cresciute velocemente tra il 2003 ed il 2008 (quasi 50% in più cumulato in valore nominale). Con la prima recessione tra il 2008 e il 2009, sono entrambe temporaneamente crollate per la paralisi dei mercati internazionali, riprendendosi velocemente a partire dalla seconda metà del 2009, con una ripresa più forte per le importazioni. La seconda recessione dal 2011 è invece caratterizzata da una riduzione delle importazioni a causa della compressione dei consumi interni, mentre le esportazioni hanno continuato a crescere, anche se sempre più lentamente, generando un surplus della Bilancia commerciale per la prima volta dall’inizio degli anni duemila.Elaborazione DIPE su dati Istat. Il grafico riporta l’evoluzione delle importazioni e delle esportazioni italiane di merci da e verso tutto il mondo, valutate a prezzi correnti. I dati mensili sono espressi in milioni di euro a prezzi correnti, destagionalizzati da Istat.
Bilancia commerciale
Il saldo della Bilancia commerciale era in pareggio o in surplus fino al 2005. Successivamente l’Italia ha sperimentato un peggioramento del saldo fino ad un deficit massimo di 4 miliardi di euro nel mese di dicembre 2010. A seguito della nuova recessione, della contrazione dei consumi interni e dunque delle importazioni si è svolto un processo di riaggiustamento che ha ridotto molto rapidamente il deficit commerciale trasformandolo nella primavera del 2012 in un surplus consistente.Il saldo della Bilancia commerciale era in pareggio o in surplus fino al 2005. Successivamente l’Italia ha sperimentato un peggioramento del saldo fino ad un deficit massimo di 4 miliardi di euro nel mese di dicembre 2010. A seguito della nuova recessione, della contrazione dei consumi interni e dunque delle importazioni si è svolto un processo di riaggiustamento che ha ridotto molto rapidamente il deficit commerciale trasformandolo nella primavera del 2012 in un surplus consistente.
INVESTIMENTI, RISPARMIO E PATRIMONIO
Investimenti in % del PIL
Tra il 2000 e il 2007 gli investimenti pubblici e privati in Italia in percentuale del PIL sono cresciuti raggiungendo il 22% del Pil, pur risultando inferiori alla media Ue (oltre il 23%). Tra il 2008 ed il 2009 la crisi finanziaria internazionale ha determinato una caduta degli investimenti in Italia leggermente meno intensa rispetto al resto dell’Europa, seguita da una parziale e temporanea ripresa. Con la crisi del debito europeo e la seconda recessione tornano a calare ulteriormente gli investimenti nel 2011, scendendo al 16,5% del PIL nel 2014, allargando nuovamente il divario rispetto alla media europea. Elaborazione DIPE su dati del FMI. Il grafico confronta con dati annuali l’evoluzione della quota del Pil destinata agli investimenti pubblici e privati in Italia e nell’Unione europea. Le ultime stime del FMI (WEO di aprile 2015) hanno considerevolmente alzato il dato sugli investimenti dell’Ue rispetto a quelli italiani.
Risparmio in % del PIL
Il risparmio italiano, nei primi anni 2000, è inferiore a quello della media Ue, oscillando tra il 20% e il 21% del Pil. Tra il 2007 e il 2010 il risparmio nazionale cala al 17% per effetto della crisi finanziaria internazionale, diventando significativamente più basso della media europea. Dopo l’inizio della seconda recessione il tasso di risparmio ricomincia a salire, contrariamente a quanto avvenuto nella prima recessione, fino a superare il 18% del PIL nel 2013 e 2014. Il recupero del tasso di risparmio in Italia riduce parzialmente il divario apertosi rispetta alla media europea, ma senza avvicinarsi ai livelli pre-crisi.Elaborazione DIPE su dati del FMI. Il grafico confronta con dati annuali l’evoluzione della quota del Pil destinata ai risparmi lordi in Italia e nell’Unione europea.
Risparmi e investimenti in Italia
All’inizio degli anni duemila il tasso di risparmio e di investimento pubblico e privato erano sostanzialmente allineati in Italia, la crescita della quota di investimenti fino al 2007 non è stata accompagnata da una crescita proporzionale dei risparmi, rimasti sostanzialmente costanti. Con la prima recessione (2008-2009) i risparmi sono calati più fortemente degli investimenti, che hanno resistito meglio. Durante la seconda recessione invece si è registrato un nuovo calo degli investimenti, mentre aumentava il risparmio precauzionale. Dal 2013 i risparmi sono tornati maggiori rispetto agli investimenti ma ad un livello radicalmente più basso per entrambi rispetto a quello pre crisi (nel 2014 18,3% di propensione al risparmio contro il 16,5% di propensione all’investimento).Elaborazione DIPE su dati del FMI. Il grafico confronta l’evoluzione della quota del Pil italiano destinata rispettivamente agli investimenti privati e pubblici e al risparmio lordo.
Evoluzione delle principali componenti del patrimonio lordo delle famiglie italiane
La ricchezza delle famiglie italiane, ripartita prevalentemente tra abitazioni, attività finanziarie e altre attività reali, è caratterizzata da un andamento crescente negli anni 2000. Il valore del patrimonio detenuto dalle famiglie sotto forma di abitazioni aumenta fino al 2011, anno della seconda recessione, a seguito del quale comincia a calare lievemente in termini nominali e in maniera più sensibile in termini reali. La componente detenuta in attività finanziarie arresta la sua crescita già a partire dal 2007, a causa dei ripetuti crolli delle quotazioni nei mercati azionari, ma riprende a crescere nel 2012 con il recupero degli indici di borsa.Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia. Il grafico mostra per anno l’evoluzione principali categorie dello stock di ricchezza detenuto dalle famiglie italiane (al lordo dello stock di debiti) cioè abitazioni, attività finanziarie e altre attività reali, in miliardi di euro. I dati sono espressi a prezzi correnti e provengono dalla Banca d’Italia.
Investimenti pubblici in Italia e nella zona euro
La spesa totale in conto capitale in Italia è stata superiore alla media dell’area euro dal 2000 fino al 2008. Dal 2010 le politiche di contenimento della spesa pubblica hanno comportato una maggiore riduzione della spesa in conto capitale rispetto alla media UE. Il divario tra le due aree è spiegato soprattutto dall’andamento della componente degli investimenti. Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia e programmatico DEF aprile 2015. Il grafico confronta i dati relativi all’Italia con quelli dell’area euro esclusa l’Italia. La spesa complessiva in conto capitale viene riportata assieme alla sua principale componente quella degli investimenti in senso stretto (l’altra principale componente sono i trasferimenti in conto capitale). Gli investimenti riguardano la creazione di capitale fisso composto da beni materiali e immateriali destinati ad essere utilizzati nei processi produttivi per un periodo superiore ad un anno. I trasferimenti in conto capitale sono quella parte della spesa in conto capitale che si riferisce ai trasferimenti di capitale a imprese e a famiglie.

Fonte:  1

venerdì 9 dicembre 2016

" LA SAGA DI ITALFAGOR ! "


"PROLOGO": "Così mentre l’operazione per l’aumento di capitale di Mps, quei 5 €mld di cui l’istituto aveva disperatamente bisogno, stava volgendo al peggio, ovvero la conversione volontaria delle obbligazioni in capitale si rivelava un fiasco (1 €mld), il fondo sovrano del Qatar si defilava e con lui il “Consorzio” di banche private che avrebbero dovuto garantirne l’aumento. Si vociferava in quei giorni di un possibile salvataggio pubblico in base alla normativa in vigore fino al 31 dicembre 2015 (il cosiddetto “burden sharing”), in aperta violazione, del bail-in, attivo da gennaio e già applicato in Austria sulla Heta Asset Resolution AG. La commissione europea ed i falchi teutonici li aspettavano al varco, con le fauci spalancate e le zanne grondanti sangue. L'Italia era ormai una preda, ferita ed impazzita che correva dritta, verso il default. Le grandi industrie assorbite, vendute o delocalizzate. Idem per la locomotiva Fiat. Moody's tagliava l'outlook da «stabile» a «negativo». Tutti i diritti fondamentali di welfare, depredati sistematicamente passo dopo passo:" Lavoro, sanità, sicurezza". Quasi 20 milioni di poveri italiani che non solo non sapevano cosa e come mangiare, ma neppure come curarsi. Fiumi d'immigrati negli agriturismi e terremotati nelle tende. Renzi, fra i principali responsabili di questo dissesto che a breve avrebbe portato l'Italia all'uscita dall'euro ed all'implosione dell'Eurozona, ventilava l'ipotesi di un Renzi bis, nonostante il 60% di NO sul referendum. I media maistream, proni al servizio del padrone, fetidi di quel marcio che spinge a barattare il "giusto" per il "conveniente", segavano il ramo sul quale erano seduti i loro figli. Sotto di "essi", un baratro buio, cupo e senza fondo, che di lì a poco, li avrebbe inghiottiti tutti.

martedì 6 dicembre 2016

" POVERTA' IN EUROPA: " GRAFICO INDICANTE LE PERCENTUALI DI CITTADINI EUROPEI CHE NON RIESCONO AD ARRIVARE A FINE MESE !"

" LA PIATTAFORMA FIORENTINA IDOLWEB E LA PRIVACY DEGLI UTENTI "

Tralasciando di chiederci il perché dell'evidente richiamo "esoterico" del logo, della "Nuova Città Metropolitana di Firenze", la cui scelta davvero non si spiega, quello che invece merita chiedersi è "quanto le istituzioni fiorentine ci tengano alla privacy dei propri cittadini".

L'occhio onniveggente, riportato sul logo, spinge per una risposta del tipo "molto poco!".

Recentemente sono giunte, infatti, alcune segnalazioni relative al nuovo portale d'incontro "domanda/offerta" di lavoro, dell'area fiorentina, IDOL WEB che lasciano parecchi dubbi sul tavolo.

Sostanzialmente il portale Idol Web, che di fatto è l'interfaccia digitale fra i vecchi uffici di collocamento e la cittadinanza dell'area fiorentina, funziona in questo modo:

1) L'utente si registra al portale, inserendo i suoi dati personali ed il suo CV

2) Facendo login al portale può accedere ad una serie di servizi, fra cui, l'accesso alla banca dati delle offerte di lavoro

3) Cliccando sulle offerte di lavoro che interessano, il CV viene inviato in automatico e si resta (al buio) ad attendere la risposta dell'Azienda. Perché dico al buio ? Perché le offerte di lavoro, tutte, non riportano il nome dell'azienda e neppure i contatti.

Il cittadino che non dovesse ricevere risposta, quindi, non ha neppure la possibilità di attivarsi in prima persona, telefonando all'azienda, al fine di verificare, perlomeno, che il suo CV è stato ricevuto correttamente e quindi valutato.  No ! Di questo se ne occupa la "spectre, alias chi gestisce il sito Idol-web," a quanto pare.

Tutto questo non basta.


La piattaforma Idol-Web, consente alle aziende di registrarsi in totale autonomia e senza nessun filtro, cosa che ho potuto verificare personalmente, telefonando al numero verde preposto 800 855 855. 

Il che vuol dire che, se un'azienda truffaldina, di quelle che raccolgono CV e-mail e dati personali, per poi rivenderli al migliore offerente sul mercato (magari siti di spamming, phishing etc.), volesse iscriversi al portale, predisporre una offerta di lavoro particolarmente allettante e raccogliere CV e dati personali a iosa ed in forma totalmente gratuita, lo potrebbe fare. Fra l'altro con l'appoggio delle istituzioni. 

La cosa, presentata così, appare già grave, eppure ancor più grave è la incomprensibile risposta, data dalla Regione Toscana e dalla Città Metropolitana di Firenze, ad un cittadino che poneva esattamente questi quesiti.

Di seguito, riportiamo la lettera ed in calce la risposta fornita dalle istituzioni. Buon divertimento !

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Spett. le Città Metropolitana di Firenze,

recentemente, seguendo le indicazioni del Numero Verde 800 855 855, mi sono iscritto alla piattaforma telematica Idolweb  d'incontro "domanda - offerta di lavoro" della Città Metropolitana di Firenze.

Dopo avere inserito i miei dati personali e il mio CV, ho seguito i link ed ho aperto la seguente  pagina dedicata alle Offerte di Lavoro http://idolweb.cittametropolitana.fi.it/idol/risultatoRicercaOfferte-frontend.html?mapIds={idTabTipoOffertaExclude:11}


Cliccando sulle offerte che m’interessavano, mi sono accorto che nessuna di queste indicava il nome dell'azienda.


Meravigliato di suddetta anomalia, ho richiamato il numero Verde 800 855 855 e l'operatore mi ha spiegato che sia la Regione Toscana che la Città Metropolitana di Firenze, non hanno alcuna "influenza" sulle dinamiche d'incontro domanda/offerta di lavoro all'interno del sito e che esse mettono semplicemente a disposizione degli utenti, siano essi imprenditori o disoccupati, la piattaforma idolweb e sono, quindi, gli stessi imprenditori che inseriscono gli annunci di lavoro e decidono, quindi, di occultare il nome dell'azienda.

Non soddisfatto della risposta, ho deciso di verificare più annunci di ricerca personale e mi sono reso conto che tutti gli annunci omettevano d'inserire il nome dell'azienda.

Ritengo questa modalità di gestione della piattaforma pubblica d'incontro domanda ed offerta di lavoro, gravemente anomala ed irregolare e vi spiego il perché nei seguenti punti:

1) Se come dice l'operatore del numero verde 800 855 855, non vi è nessun controllo a monte sulle aziende e sugli imprenditori che inseriscono i loro annunci di "Offerta lavorativa", potrebbe accadere che aziende che si occupano, ad esempio, del "reperimento dati personali dei cittadini ( anche in forma illecita ) a fini di marketing, promozioni pubblicitarie personalizzate, phishing o altro...", si iscrivano al portale e ricevano i nostri CV ed i nostri dati personali, senza alcun problema

2) Io cittadino, se mi iscrivo ad un portale pubblico d'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, come Eures (che infatti mette tutte le aziende in chiaro) o Idolweb,
o similari, se permettete, vorrei sapere a chi mando il mio Curriculum. E' un mio Diritto ! Idolweb non è una Agenzia di Selezione del Personale, privata, che guadagna
con la Ricerca del Personale, bensì è un "Servizio Pubblico" creato con i fondi dei cittadini e per i cittadini

3) Io cittadino che invio il mio CV ad una azienda, tramite il portale idolweb, come faccio, anche volendo, ad interfacciarmi con l'azienda che riceve il mio CV, ai fini della "Gestione Privacy" e quindi della gestione dei miei Dati Personali, se non so chi è l'azienda in questione ?


Per tutte queste ragioni, con la presente sono a chiedervi delucidazioni, tempestive alla mia segnalazione nei tempi e nei modi, previsti dalla normativa vigente, sulla trasparenza delle istituzioni, e contestualmente vi chiedo di dare disposizioni affinché tutti gli "Annunci di Lavoro" sulla Piattaforma Idolweb, riportino in chiaro,
il nome dell'azienda.

In attesa di Vs. cortese riscontro invio cordiali saluti.



RISPOSTA DELLA REGIONE TOSCANA


Regione Toscana predispone i propri documenti in originale informatico sottoscritto digitalmente ai sensi del DLgs 82/2005 - Codice dell'amministrazione digitale.
Per aprire i file firmati digitalmente in formato P7M è possibile usare uno dei software gratuiti (Dike, ArubaSign) indicati dall'Agenzia per l'Italia digitale alla pagina:
http://www.agid.gov.it/identita-digitali/firme-elettroniche/software-verifica
Nel caso in cui per aprire la PEC venga usato Thunderbird per vedere i documenti firmati digitalmente allegati, si deve verificare che sia disattivato il controllo sui file P7M