Una vecchia barzelletta narra di un matto che si sporge dal cancello del
manicomio e chiede a un passante: come si sta là dentro? Uno dei
meccanismi del comico è l’inversione rispetto alla realtà, ma, nello
specifico, ci sentiamo di fornire noi la risposta a quel matto, che è
forse il più savio di tutti: nel Manicomio Italia si sta malissimo.
Abbiamo toccato in altre occasioni il tema del rovesciamento di
significati, valori e giudizi che caratterizza il nostro tempo.
Diventiamo forse ripetitivi, ma i fatti dell’ex Bel Paese possono ormai
essere interpretati solo in chiave di follia o di ribaltamento totale.
Nel primo atto di Macbeth le tre streghe, deus ex machina della
tragedia, escono di scena pronunciando la frase “bello è il brutto e
brutto è il bello”, poi scompaiono “su per la nebbia e l’aria unta”.
Tale ci sembra la condizione presente, riassunta dal sommo Shakespeare
in una famosa battuta del vecchio Re Lear: sono tempi maledetti quando i
pazzi conducono i ciechi.
La cronaca sgomenta: una povera ragazza di 18 anni viene fatta a
pezzi e nascosta in varie valigie, i trolley simbolo di un tempo nomade,
da uno spacciatore di droga nigeriano il cui permesso di soggiorno è
scaduto. Il giudice convalida il fermo per occultamento e vilipendio di
cadavere, ma non per omicidio. I resti della povera Pamela sono talmente
straziati, brandelli di essere umano massacrati tanto da rendere
difficile capire se è morta a seguito di un’overdose di droga o
se il buon Innocent – si chiama proprio così- l’ha ammazzata. Presto
potrebbe persino uscire dal carcere. Nello stesso palazzo, il ragazzo
che ha sparato contro gli immigrati che incontrava sulla sua strada per
vendicare la sventurata è stato denunciato per strage aggravata
dall’odio razziale, pur non avendo ucciso nessuno. Il coro mediatico si
sta accanendo su Luca Traini e sul fascismo di ritorno (?!?) e Pamela è
dimenticata, un fastidioso incidente sulla via dell’integrazione e, ça va sans dire, delle magnifiche sorti e progressive della società multirazziale.
Immaginiamo che se la ragazza romana fosse stata vittima di un
carnefice connazionale si sprecherebbero pensose analisi sociologiche
sul caso: una giovanissima già presa nel vortice della droga, il dramma
di famiglie sfasciate e adolescenti allo sbando, i cinquanta euro della
dose racimolati vendendo il suo corpo in un incontro casuale. A Pamela,
alla sua generazione chiamata millennials, dovremmo chieder
scusa e implorare perdono. Che mondo hanno trovato, per colpa nostra?
Denaro unico Dio, libertà come scatenamento di qualunque pulsione, madri
e padri assenti, nessun principio condiviso, nessuna educazione morale,
civile, non diciamo spirituale. Lei ha pagato un prezzo terribile,
milioni di altri vivono come lei, sulla strada, senza una bussola, una
massa di primitivi di ritorno, come suggeriscono anelli al naso,
tatuaggi e capelli dipinti.
Pagherà un conto salto il suo improbabile vendicatore, il giovanotto
rasato che tiene in casa il Mein Kampf. Giusto così, non si spara nel
mucchio, ma che splendido esemplare di malvagio da telegiornale!
Solitario, litigioso, si manteneva con lavoretti da buttafuori,
radicalizzato da poco, come si usa dire degli islamisti, una runa
tatuata sul capo. Eppure, ha avuto, a differenza di Innocent, almeno un
gesto di pietà, quel lumino acceso per Pamela. Ma i pazzi guidano i
ciechi, per davvero. Macerata, piccolo capoluogo di provincia
dell’Italia profonda, brava gente laboriosa, era considerata una delle
città più tranquille del nostro Paese: scarsa criminalità, un benessere
conquistato con il sudore e l’intelligenza, una vivace vita culturale,
simboleggiata dalla presenza dell’università e da una famosa stagione di
teatro e melodramma allo Sferisterio.
La città di Laura Boldrini è stata sfigurata in pochi anni, come
mille altre località italiane, da un’immigrazione folle, incontrollata,
sulla quale lucrano troppi, in denaro, potere, politica. Insieme con
poveri cristi alla ricerca di pane – che non c’è, purtroppo – una marea
di persone di ogni risma invade le nostre strade, ma che volete che sia,
non è successo nulla, il Male Assoluto è Luca Traini, che mediterà in
galera sul gesto criminale che ha commesso.
Tutti gli altri, innocenti e benefattori virtuosi, le ONLUS, le
cooperative, le società create per lucrare sugli immigrati, anche quelli
che pagano un euro per cassetta di raccolto a braccianti tenuti in
condizioni subumane. Non è strano che molti di loro preferiscano la
malavita: si guadagna molto, si rischia poco. Gli avvocati e non pochi
magistrati sono sempre pronti a trovare giustificazioni ed attenuanti se
sei straniero, anzi migrante. Un rom – zingaro è parola vietatissima – è
stato scarcerato dopo soli quattro anni a seguito dell’omicidio di un
uomo durante un furto d’auto. Se l’è cavata con meno di nove anni di
condanna, adesso gira per le strade del manicomio Italia.
Il punto è che tutto si rovescia, o forse siamo gli ultimi a
pensarlo, e siamo noi i pazzi che chiedono come si sta “là dentro”. Il
tribunale di Genova ha assolto un giovanotto (qui la vicenda è tra
italiani) la cui compagna minorenne è morta dopo un party a base di
droga acquistata da lui. Il suo brillante avvocato, un professionista
noto per le sue idee di destra, ha spiegato che fornire droga per
consumarla in gruppo non è reato. Obiezione accolta; il tribunale, bontà
sua, trasmetterà gli atti alla procura affinché, eventualmente, proceda
per omissione di soccorso. Chi muore giace, con quel che segue nel
detto popolare.
Tutto appare così invertito che viene da pensare che siamo noi a
camminare a testa in giù e vedere tutto in negativo, un ordine che
diventa contrordine. Jorge Luis Borges avvertì che spesso gli uomini
credono di vivere nel peggiore dei mondi possibili, dunque pigliamo
fiato e cerchiamo di prendere le distanze dal nero che vediamo. Magari
hanno ragione quei giornalisti, influencer e utenti delle reti
sociali che hanno celebrato come una vittoria la morte di una sventurata
malata di SLA che ha, come si dice, staccato la spina. Dinanzi a
situazioni di questo tipo, conviene il silenzio, chinare la testa e, per
chi si ostina a credere in Dio, pregare per la signora sarda. Ma il
trionfo della morte no, l’esultanza ostentata perché ha potuto farla
finita no, non possiamo accettarla.
Sarà saggio l’avvertimento dell’autore di Aleph e di Fervor de Buenos
Aires, ma ci sentiamo morire leggendo della sentenza di un tribunale
che ha riconosciuto un risarcimento in denaro a un padre che non voleva
la figlia, nata per un aborto non andato a “buon” fine. Per lo stesso
motivo, la madre aveva già ottenuto 125.000 euro, tratti dalle tasse
pagate anche da chi scrive. Un’unica domanda: la bambina, almeno, è
stata affidata a qualcuno che la ama e sa apprezzare quella vita tanto
indesiderata da chi l’ha generata per istinto incontrollato,
non-genitore 1 e non-genitore 2?
Gli enormi problemi dell’Italia, in questi mesi, si vanno riducendo a
uno: criminalizzare chiunque dubiti della bontà dell’accoglienza
indiscriminata di stranieri. Si va dalle accuse più semplici, quasi
banali per quanto sono scontate di fascismo e razzismo, sino al
moralismo d’accatto della litania politicamente corretta. Un uomo
politico è stato crocifisso per aver pronunciato la parola “razza”.
Quando lo stesso, dopo le scuse farfugliate davanti al mondo intero
(ricordate l’autocritica pubblica pretesa nei regimi comunisti ai
compagni poco fedeli alla linea?) ha osservato che il vocabolo razza è
scritto nella costituzione, apriti cielo. E’ assai curioso che il testo
dell’articolo 3, relativo alla non discriminazione, sia dovuta ad un
costituente comunista, Renzo Laconi, membro della Commissione dei
Settantacinque che scrissero la Carta.
Si è ora aperto un dibattito sull’opportunità di espungere, abolire
dal testo costituzionale il termine razza diventato cattivo. Sessanta
milioni di residenti dello Stivale non attendono altro. Eliminata la
parola, risolto il problema. Gridare integrazione, accoglienza fa
scomparire il fatto che l’immigrazione, se incontrollata e non
selettiva, diventa una bomba sociale, un dramma per chi arriva e un
trauma per chi è nato qui. E’ il sistema di Mary Poppins:
supercalifragilistichespiralidoso, anche se ti sembra che abbia un suono
spaventoso, se lo dici forte avrai un successo strepitoso.
Più seriamente, la dittatura del politicamente corretto ha effetti
devastanti. Si è deciso che le razze non esistono, con sprezzo del
ridicolo, dunque è sospetto chiunque turbi la nuova verità con il suono
della parola interdetta. Gli appassionati di calcio di una certa età
ricorderanno l’elogio che si faceva di certi calciatori veneti provvisti
di prestanza fisica e doti di carattere: sono “razza Piave”. Vietato,
ma adesso nel campionato di calcio nostrano un giocatore italiano è così
raro come un dì senza vento a Catanzaro. Non ci è chiaro se sia ancora
permesso discutere di razze canine o se anche il migliore amico
dell’uomo non debba essere più distinto tra barboncino, cocker o pastore
tedesco.
Abolito, vietato o nascosto il significante, svanirebbe il
significato. Un’ottima idea, se fosse vera. Dovremmo chiedere a un sordo
se ci sente meglio da quando è chiamato non udente, ma temiamo si
tratti di grave scorrettezza politica.
Tuttavia, poiché il Manicomio Italia è sempre aperto, la nostra
modesta proposta è di abolire per legge, insieme con la razza, anche il
cancro e la morte. Tre al prezzo di uno e avremo rimosso tutte le
tragedie umane. E’ un’idea da pazzi, quindi ha molte probabilità di
essere accolta. Nel Faust di Goethe, Mefistofele, il diavolo, espresse
sottovoce una verità assai dura: alla fine, dipendiamo da quelle
creature a cui noi stessi abbiamo dato vita. I fantasmi di questa folle
post modernità.
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