mercoledì 19 dicembre 2018
sabato 15 dicembre 2018
sabato 8 dicembre 2018
MATTIA FELTRI, FIGLIO DEL PIU' CELEBRE VITTORIO, E' IL VINCITORE DEL PREMIO:" E' GIORNALISMO 2018"
Vittorio Feltri con il figlio Mattia
Il giornalista Mattia Feltri, figlio d'arte del ben più celebre Vittorio, ha ricevuto il premio "E' Giornalismo 2018". Il "prestigioso riconoscimento" istituito da Enzo Biagi, Indro Montanelli, Giorgio Bocca e dall'imprenditore Giancarlo Aneri, ha visto in passato, sul podio del vincitore, l'alternarsi di nomi assai conosciuti al grande pubblico, fra i quali ricordiamo:" Curzio Maltese, Gianni Riotta, Natalia Aspesi, Barbara Spinelli, Fabio Fazio, Sergio Romano, Mario Calabresi, Massimo Gramellini, Enrico Mentana e l'eccezionale Fiorello".
La giuria composta dallo stesso Aneri, in qualità di presidente, oltre a Gian Antonio Stella, Giulio Anselmi, Mario Calabresi, Massimo Gramellini, Paolo Mieli e Gianni Riotta, ha riconosciuto il premio, giunto alla sua 22ma edizione, al "giovane" Mattia Feltri, riconoscendo a latere, un premio, altresì, alla "famiglia giornalistica".
Interessante notazione, quella della "famiglia giornalistica", che vede in Italia, il passaggio, dello scettro del prestigio e del potere professionale, di generazione in generazione, da padre in figlio.
Notai, Medici, Avvocati, Giornalisti e persino impiegati delle poste o dei Ministeri etc, come nelle dinastie monarchiche, si alternano sul trono professionale conquistato, per diritto di sangue.
Nulla di male, per l'amor del cielo, se non fosse che per i "comuni mortali", figli della plebe, come disse Tiziano Terzani in questa intervista al minuto 2:57 https://www.youtube.com/watch?v=-n1ehDye_og , spesso, non resta che emigrare.
domenica 2 dicembre 2018
EURES:" ITALIA 29ma NELLA CLASSIFICA EUROPEA A 32 PAESI, PER DISPONIBILITA' LAVORATIVA"
Secondo un recente comunicato stampa dell'ISTAT, il tasso di disoccupazione in Italia, al terzo trimestre 2018, si attestava al 10,8% https://www.istat.it/it/archivio/224515
Distanza siderale, ovviamente, dal 3,4% del tasso di disoccupazione in Germania, rilevato nell'agosto dello stesso anno.
Eppure, sarebbe ben poca cosa, se considerassimo come "cartina al tornasole" dello "spread occupazionale" fra Italia e Germania, la quantità di posizioni lavorative messe a disposizione, dai rispettivi paesi europei, per il circuito Eures.
L'Eures, (European Employment Services), lo ricordiamo è un'agenzia dell'Unione europea istituita per facilitare la mobilità occupazionale fra gli Stati membri, oltre alla Svizzera e altri.
Ebbene, come facilmente rilevabile dallo screenshot postato, la differenza fra la Germania e l'Italia è di quasi un milione di posti di lavoro messi a disposizione dai tedeschi a fronte dei 524 posti di lavoro messi a disposizione dagl'italiani ( per inciso, meno della piccola isola di Malta che ne mette a disposizione ben venti di più, ovvero 544 ).
mercoledì 28 novembre 2018
" LO STATUS E' UN FATTO MENTALE ! "
Quando
ero in Germania, un giorno nel dipartimento di Biologia
dell'Università, entrò un gruppo di una decina di ragazzi e ragazze ben
vestiti. Li ricordo come se fosse oggi:
" I maschi indossavano un
completo scuro in giacca e cravatta. Camminavano con passo allungato e
sicuro, petto in fuori e pancia in dentro. Con il volto ben rasato e lo
sguardo sicuro, reggevano nella mano destra una valigetta di pelle nera
che faceva pendant con le scarpe lucide dello stesso colore.
Le donne, belle come valchirie, vestivano un talleur scuro che faceva
contrasto con il biondo dei capelli e l'azzurro degli occhi. Anche loro,
come i maschi, camminavano con passo sicuro e fare altezzoso, mentre
sull'avambraccio, piegato quasi a simulare un involontario "gesto
dell'ombrello" rivolto verso i comuni mortali chje le ammiravano,
reggevano delle borsette firmate, dall'apparente inestimabile valore.
Il gruppetto, senza guardarsi intorno, dopo avere attraversato, con
rapido passo, il corridoio che dava sui nostri laboratori, entrò
nell'ufficio del Prof. responsabile del nostro dipartimento.
Dopo
circa una mezzoretta, la porta del Prof. si riaprì e dall'interno della
stanza fuoriuscì il gruppo di ragazzi, preceduto da risate, pacche
sulle spalle ed un vociare alto che si mescolava ad un gradevole profumo
di qualche marca d'alta moda.
Quando si furono allontanati, incuriosito, mi rivolsi al mio collega teutonico biologo.
Il ragazzo si chiamava Peter e la sua immagine era a dir poco
antipodale rispetto a quella dei ragazzi appena usciti. Perennemente
incurvato sullo schermo del computer, più grasso che lungo, da quando lo
conoscevo vestiva sempre gli stessi abiti:" Un maglione di lana verde,
comprato forse ai mercatini di seconda mano della domenica ed un jeans
sdrucito che fungeva anche da salvietta puliscimani, dopo i frequenti
spuntini che il buon Peter ingurgitava tutto d'un fiato così come una
foca inghiotte un pesce lanciatogli dall'istruttore. Per non parlare
dell'olezzo che emanava e che non era affatto un profumo d'alta moda
come quello dei ragazzi appena usciti, quanto un misto di mostarda,
ketchup e forse wrustel ben cotto".
Come stavo dicendo, mi rivolsi a lui e gli chiesi:
" - Scusa Peter, chi erano quei ragazzi appena usciti dalla stanza del Prof. ? Sono forse ispettori ?
- No, no! Rispose Peter, accennando un sorriso sotto i baffi
leggermente unti dal probabile companatico dell'ultimo panino
ingurgitato. Quelli sono studenti della facoltà di Odontoiatria. Si
vestono così perchè hanno già acquisito lo status di Dentisti.
Sai...sono prossimi alla laurea ed il nostro Prof. è coordinatore
interfacoltà !".
La sua risposta mi lasciò basito ed alquanto perplesso.
Mentre mi guardavo intorno e vedevo i miei colleghi Biologi, già
laureati, il paragone con i "quasi dentisti" appena usciti fu
inevitabile. Sembrava la saga dei "ricchi e poveri". Da una parte
c'eravamo noi biologi, pingui o smunti e malvestiti e dall'altro c'erano
loro.
La riflessione fu inevitabile ed allora capii che volente o
nolente, esistono facoltà di serie A e facoltà di serie B e non è un
fatto solo italiano. Anche nell'avanzata Germania, lo "status" è più un
fatto mentale che un traguardo fisico, economico, concreto raggiunto.
Ciò che da sicurezza ad un Uomo non è tanto quello che sta facendo in
quel momento, ma le possibilità e le prospettive che quello che sta
facendo potranno garantirgli in termini di crescita personale futura.
In
altre parole, vale più intraprendere un cammino difficile ma che sai un
giorno ti condurrà sulla vetta della montagna, piuttosto che
incamminarsi per una pianura dove sai già che, nonostante l'impegno ed i
chilometri che potrai accumulare alle spalle in decenni di carriera, ti
condurrà sempre in un altro punto di quella piatta ed insignificante
pianura.
giovedì 1 novembre 2018
CATASTROFE ITALIA:" TUTTI I DATI REALI SU MATRIMONI E DIVORZI ! "
"Give me liberty, or give me death!" ("Datemi la libertà o datemi la morte"), sentenziava, in un suo storico discorso, l'americano già primo governatore dello stato della Virginia fra il 1776 e il 1779, Patrick Henry.
Vero, noi italiani, abbiamo perso la "grande guerra" e di fatto, d'allora siamo un paese occupato, tuttavia nessuno, avrebbe mai potuto immaginare, che gl' italiani avrebbero seguito, a distanza di circa due secoli e mezzo, forse un po' troppo alla lettera, le parole di Henry.
La libertà è senza ombra di dubbio un valore fondamentale nella vita di un Uomo e oggi, gl' italiani, sia uomini che donne, sembrano volerla ricercare ed applicare in ogni ambito della propria esistenza, matrimonio incluso.
Gli ultimi dati Istat, a proposito di connubi, fotografano la situazione di un paese in radicale e profonda trasformazione. Basti pensare che negli ultimi 20 anni le unioni di lunga durata in Italia sono diminuite quasi di un quarto; per la precisione, la quota di divorzi, relativa ai cosiddetti matrimoni di lunga durata (vale
a dire quelli uguali o superiori a 17 anni) è passata dall’11,3 per
cento del 1998 al 23,5 per cento registrata a fine 2017.
Per quanto riguarda i divorzi, infatti, si nota una
spinta molto forte, grazie anche all’approvazione della
cosiddetta legge del “divorzio breve” approvata nel corso dello stesso
2015, con la quale si riducono in maniera drastica i tempi che devono
intercorrere obbligatoriamente tra il provvedimento di separazione e quello effettivo di divorzio, dai 52.355 divorzi
riscontrati nel 2014 si è giunti nel 2015 alla registrazione di 82.469
casi.
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In pratica, in un solo anno 2014-2015, le pratiche di divorzio sono aumentate di 30.000 unità. Questi dati, relegano ovviamente, agli ultimi posti nel ranking mondiale delle unioni matrimoniali, il nostro paese. In sostanza l'Italia non è solo un paese, dove ci si sposa di meno ma anche dove i matrimoni, durano di meno in assoluto. Diciamo che le parole del buon vecchio Henry, agl'italiani, gli fanno un baffo.
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Per non parlare dei dati sui single, ovvero dei celibi e nubili, insomma dei fortunati, volendo utilizzare un neologismo applicabile ai tempi moderni e all'indirizzo "ammeregano", che il nostro paese, inevitabilmente, sembra avere intrapreso ormai da anni.
Il verdetto è di quelli inappellabili e che non lasciano adito ad interpretazioni di sorta:" Nella classe di età fra i 45 e i 54 anni, quasi un uomo su quattro, non si è mai sposato mentre è nubile quasi il 18% delle donne.
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Il verdetto è di quelli inappellabili e che non lasciano adito ad interpretazioni di sorta:" Nella classe di età fra i 45 e i 54 anni, quasi un uomo su quattro, non si è mai sposato mentre è nubile quasi il 18% delle donne.
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Nella fascia d'età fra i 55 e i 64 anni, i divorzi rispetto all'anno 1991, sono più che quadruplicati.
Al 1° gennaio 2018 i celibi hanno in pratica raggiunto i coniugati (15-64 anni): 47,7% contro 49% della popolazione totale; Le coniugate, invece, continuano a prevalere sulle nubili (55% contro il 39%).
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Insomma se è vero che il matrimonio è un artefatto creato dall'uomo e mai voluto dal creatore, almeno in Italia, siamo sulla buona strada per portarlo a completa estinzione.
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Il dubbio, a questo punto, che è lecito porsi è:" Siamo proprio sicuri che l'incremento dei single nella società, sia un fenomeno casuale e non voluto ? ".
Il dubbio, a questo punto, che è lecito porsi è:" Siamo proprio sicuri che l'incremento dei single nella società, sia un fenomeno casuale e non voluto ? ".
SpeedDate.it, il portale che offre ai single, il modo per
incontrare nella vita reale gente nuova e potenziali partner, ha diffuso
uno studio in cui emerge che, rispetto a chi è in coppia, le persone
che scelgono di vivere senza l'altra metà, affrontano un costo della vita superiore in media del 69%.
Per i single il costo per l'abitazione è doppio: in media 700 euro mensili contro i 350 euro di chi vive in coppia, anche perché gli appartamenti di piccolo taglio sono proporzionalmente più costosi di quelli più grandi. Così come spendono di più per il cibo e per le bevande: in media 540 euro mensili contro i 250 euro di chi vive in coppia.
Sostanzialmente, diciamocela tutta, i single , sono funzionali alla società del capitale. Una coppia, infatti, ha bisogno di un solo frigorifero, di una sola TV, di una sola lavatrice, di un solo appartamento etc. Una coppia scoppiata, ovviamente avrà bisogno di due frigoriferi, due TV, due lavatrici, due appartamenti etc.
Non solo, la spinta a far sposare i cittadini, dovrà essere accompagnata, negli anni successivi al matrimonio, ad una altrettanta spinta a favorire i divorzi. Solo in questo modo si massimizzeranno le spese, i costi e quindi l'indotto economico, apportato al bilancio della società.
Direi a questo punto di terminare con una frase di Confucio: “ Per mettere il mondo in ordine, dobbiamo mettere la nazione in ordine. Per mettere la nazione in ordine, dobbiamo mettere la famiglia in ordine, Per mettere la famiglia in ordine, dobbiamo coltivare la nostra vita personale, Per coltivare la nostra vita personale, dobbiamo prima mettere a posto i nostri cuori.”
sabato 6 ottobre 2018
BIOLOGIA MARINA:" INTERVISTA A MARTINA RIGHETTI "
BIOLOGIA MARINA
“ INTERVISTA A
MARTINA RIGHETTI ”
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La figura professionale
del Biologo Marino è forse la più amata ed ambita, fra le diverse
specializzazioni post laurea, che un Biologo possa intraprendere. La
possibilità di lavorare a contatto con il mare, spesso in contesti
internazionali, è una prospettiva che attrae un numero crescente di giovani.
Martina Righetti, Biologa, seppur giovanissima, sembra avere le idee molto
chiare sul suo futuro professionale ed in questa intervista, ci racconta la sua
storia e le sue aspettative di vita e di lavoro.
Ciao
Martina. Qual è attualmente, il percorso di studi ideale, per diventare Biologi
Marini ?
Ciao! Io mi sono iscritta
all’Università Politecnica delle Marche, dove è possibile intraprendere un
percorso di studi della durata di 3 anni in scienze biologiche per poi
specializzarsi in biologia marina, grazie ad una laurea magistrale della durata
di 2 anni. A mio avviso, la facoltà di Ancona è molto valida, per diventare
biologi marini. Personalmente, posso dire di avere avuto l’onore di ricevere
insegnamenti da professori di notevole spessore, sia nazionale che
internazionale. Nel percorso di studi, oltre alle normali lezioni, sono
previsti, fra l’altro, diversi laboratori pratici e seminari, che sono stati
per me spunto di approfondimenti molto utili e interessanti.
Come
nasce la tua passione per la Biologia Marina ? Raccontaci un po’ di te
La passione per la biologia marina
mi accompagna sin da bambina. Già allora ero innamorata di delfini e balene e
il mio gioco preferito, a dieci anni, era indovinare le specie di cetacei dalle
fotografie. Sentivo che erano tutto il mio mondo e da lì, la passione si
allargò al campo marino in generale; ora posso dire che vivo per questo e non
riesco a immaginare una vita diversa e più bella. Ho avuto, inoltre, la fortuna
di avere una famiglia che ha sempre appoggiato questo mio amore. A sedici anni,
feci i primi volontariati per il soccorso di delfini spiaggiati e per il
monitoraggio di delfine incinta in ambiente controllato. Presto arrivò il primo
brevetto subacqueo e i primi viaggi per il monitoraggio di delfini in libertà.
Il desiderio di iscriversi in una facoltà di biologia marina era così grande
che non vedevo l’ora di finire il liceo.
A
tuo parere quali sono le caratteristiche e gli “skills”, che un aspirante Biologo Marino dovrebbe avere ?
Dico sempre che per fare questo
lavoro bisogna essere degli spiriti liberi, non bisogna solo avere voglia di
viaggiare e di mettersi in gioco, bisogna sentirlo dentro, è un bisogno che
diventa una seconda pelle. Un vero biologo marino è una persona che non riesce
a stare troppo tempo nello stesso posto, ha bisogno di viaggiare e di conoscere
ogni angolo di questo grande oceano meraviglioso che ci circonda…e con questo, non
intendo solo posti come Maldive o Caraibi. Quando ami il mare, anche l’angolo
più remoto del pianeta è fonte di curiosità e conoscenza. Un vero biologo
marino deve mettere in conto che la propria vita non sarà mai routine. Bisogna
avere voglia di conoscere e scoprire, sempre. Avere un grande spirito di
adattabilità, avere il grande amore di vivere a contatto con la natura, il più
delle volte senza i comfort che la
vita di oggi ci offre. Ma il bello di questo lavoro, a mio parere, è proprio
questo.
So
che in qualità di Biologa Marina, hai già avuto un’esperienza lavorativa
all’estero. Vuoi parlarcene ?
Attualmente, sto completando il mio
ultimo anno di percorso magistrale, ma durante i miei anni di studio ho avuto
l’opportunità di fare la mia prima, vera, esperienza lavorativa all’estero. Ho
lavorato sei mesi in Mar Rosso, a Berenice, in un resort, come biologa marina turistica. Il mio compito era di tipo
divulgativo, organizzavo delle uscite di snorkeling e gite in barca per gli ospiti della
struttura, spiegando ciò che si poteva incontrare, come coralli e pesci del reef; inoltre tre sere a settimana,
facevo delle lezioni di biologia marina e durante il giorno, anche passeggiate
naturalistiche nella vicina foresta di mangrovie. La cosa più bella che questa
esperienza mi ha regalato è stata quella di trasmettere la mia passione a chi,
magari, si avvicinava a questo mondo per la prima volta. Vedere lo stupore
delle persone, grandi e piccini, la voglia di imparare, di capire ciò che
stavano vedendo, per me era fonte di grande gioia. Senz’altro un input e una conferma che il mare sarebbe
stato per sempre la mia vita, il tutto poi confermato dai giudizi positivi
degli ospiti. Non c’è stato giorno in cui questo lavoro sia stato un peso.
Spesso facevo più di quel che dovevo, proprio perché era semplicemente un
piacere. E’ stato meraviglioso toccare con mano ciò che si studia per anni sui
libri, vedere certi fenomeni della natura che prima potevi solo immaginare. Adesso
sono ritornata in Italia per completare gli studi, ma appena potrò, penso
proprio di fare i bagagli e ripartire.
Secondo
te quali sono le prospettive lavorative per questa professione, in Italia ?
Quali le prospettive all’estero ?
In Italia, purtroppo, gli orizzonti
non sono così rosei. Questo è un peccato, perché abbiamo un mare bellissimo di
cui conosciamo veramente poco e le risorse che si investono per la ricerca in
questo settore, sono davvero ridotte. Penso inoltre che la biologia marina, in
Italia, venga vista, ancora come un campo “nuovo” e poco esplorato. La mia
impressione è che all’estero sembrano aver compreso, prima di noi, che il mare
è un bene prezioso per tutto il Pianeta e come tale andrebbe tutelato. Basti
pensare, ad esempio, all’importante ruolo che esso ricopre nei cambiamenti
climatici. Conoscerlo e preservarlo è un compito fondamentale di tutta l’umanità.
In definitiva credo che le prospettive all’estero siano molte di più, sia in
ambito ricerca che divulgativo.
Cosa
pensi di fare una volta conseguita la laurea specialistica.
Hai già dei progetti ?
Hai già dei progetti ?
Credo che una delle ambizioni più
grandi che un biologo marino possa avere, sia quella di rimanere in ambito
universitario dopo la laurea e quindi fare ricerca. Non è così facile
purtroppo, soprattutto in Italia. Un mio sogno sarebbe quello di fare, magari,
un master post-laurea all’estero, oppure continuare a fare qualche esperienza
di tipo divulgativo, magari lavorando in un diving
center. Trasmettere la mia passione è una cosa che ho scoperto, piacermi
tantissimo. In futuro mi piacerebbe molto aprire un mio Ecolodge magari in Madagascar, terra che amo molto. Un posto dove possa
alloggiare chi veramente voglia dedicare completamente il proprio tempo al mare
e desideri trascorrere un viaggio all’insegna della scoperta e del rispetto per
la natura. Sono convinta che il rispetto per il nostro mondo nasca proprio
dalla conoscenza, e il dovere principale di noi biologi in quanto scienziati è
quello di informare, divulgare e far conoscere.
ARRIVI TURISTICI:" IN SOLI VENTI ANNI LA SPAGNA HA GUADAGNATO QUASI TRENTA MILIONI DI ARRIVI TURISTICI IN PIU' RISPETTO ALL' ITALIA "
Quando si parla d'Italia nel mondo, normalmente il pensiero corre al buon cibo, alla sua storia, all'arte, alla cultura, al Papa e al Vaticano, a Roma, Venezia, Firenze, al bel clima, al mare, alle sue spiagge e alle sue coste meravigliose, al maggior numero di siti Unesco. Da una simile ricchezza e direi fortuna, ci si aspetterebbe di essere il primo paese al mondo per numero di arrivi turistici. Per raggiungere tale obbiettivo infatti, non sarebbe stato necessario un Manager straordinario, bensì semplicemente un Manager mediocre, che però avesse perseguito il bene dell'Italia. Invece no.
Secondo una classifica stilata dall'Organizzazione Mondiale del Turismo, in seno alle Nazioni Unite, consultabile a questo sito https://en.wikipedia.org/wiki/World_Tourism_rankings l'Italia, ferma al quinto posto con 58.300.000 arrivi turistici nel 2017 è stata distaccata di oltre venti milioni di arrivi, sia dalla Spagna 81.800.000 arrivi, che dalla Francia 86.900.000.
Bisogna sottolineare che questo, non è un semplice esercizio di comodo, teorico, fine a se stesso. Secondo il World Economic Forum, per l'Italia, colmare il gap, ad esempio, con la Spagna, equivarrebbe a guadagnare oltre due punti di pil https://www.repubblica.it/economia/2018/04/22/news/spagna-italia_dal_turismo_gli_iberici_guadagnano_40_miliardi_in_piu_-194539494/
D'altra parte, il sorpasso turistico della Spagna sull'Italia è coinciso con il sorpasso degli spagnoli, sul nostro Pil pro-capite https://www.eleconomista.es/economia/noticias/9085006/04/18/Economia-Espana-supero-a-Italia-en-riqueza-por-habitante-en-2017-segun-el-FMI.html . Nel 2017, infatti, il Fondo Monetario Internazionale ( acronimo FMI), ha attribuito, per la prima volta nella storia contemporanea, un PIL
pro-capite agli spagnoli di 38.285,966, superiore a quello italiano
fermo a quota 38.140,338 dollari, peraltro fortemente sbilanciato in termini distributivi. Nello stesso anno solare inoltre, la Spagna ha incassato con il turismo, ben 87 miliardi, a fronte dei 40 miliardi italiani.
Ridicolo il siparietto dell'ex ministro per l'economia Padoan, quello che non sapeva quanto costava un litro di latte per intenderci, quando raggiunto dagli sconfortanti dati sul turismo italiano, comunicati dal FMI, mentre era in conferenza congiunta proprio con la presidente Christine Lagarde http://www.lastampa.it/2018/04/21/economia/crescita-turismo-e-agroalimentare-cos-la-spagna-sorpassa-litalia-GrMh51UiHnZtdfQUKHK4SP/pagina.html , ebbe il fegato di dire : «La strategia attuata dal governo è stata corretta». Immaginatevi se fosse stata sbagliata.
Deprimenti i dati sulla perdita di turisti tedeschi:" Negli ultimi venti anni l'Italia ha perso 35 milioni di pernottamenti di turisti provenienti dalla Germania https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/09/21/turismo-italia-spagna-partita/ ". Nello stesso articolo de Il Sole 24 Ore, viene tracciato, inoltre, un interessante quadro analitico, sul perché l'Italia sia stata sorpassata in maniera così brutale dalla Spagna, in termini turistici. Il resoconto, sostanzialmente, attribuirebbe il gap ad una mancata percezione, da parte della classe dirigente italiana, dell'importanza del turismo, nella crescita dell'economia.
Sempre nell'articolo del quotidiano economico, si legge infatti:
" Negli anni 50/60 la Spagna intuì che il turismo sarebbe stato
fondamentale per uscire dall’isolamento causato dalla guerra. Manuel
Fraga Iribarne, ministro dell’Informazione e del Turismo dal 1962 al
1969, fu una figura fondamentale in questo processo. Durante il suo
mandato fu lanciata la prima di tante campagne di successo. Lo slogan
“Spain is different “ puntava a mostrare al mondo un paese con molte
facce ancora sconosciute. A lui si deve anche l’espansione della catena
dei Paradores e molte altre iniziative per il successo del Turismo e di
quello che possiamo chiamare Sistema dell’Accoglienza in Spagna.
«Se la Spagna nel 1951 accoglieva 1,3 milioni di stranieri, nel 1965 ne riceveva 14,3 milioni, e nel 1990 34 milioni» Storia del Turismo in Italia, A. Berrino.
La Spagna ha fatto dello sviluppo di località costiere ed isole la
sua fortuna nell’onda del Turismo delle “4 S’ (Sun, Sea, Sand and Sex).
Non a caso una campagna di successo negli anni 80 recitava Everything under the Sun.
Ciò che il quotidiano economico nazionale non dice nella sua interessante analisi e che non troverete in nessun quotidiano o mass-media mainstream è che il gap in termini di arrivi turistici, fra la Spagna e l'Italia non viene da lontano, ma si è generato negli ultimi venti anni, ovvero durante i governi della Seconda Repubblica.
La Banca dati Mondiale sul Turismo infatti, parla chiaro:
" Nel 1995 il numero di arrivi turistici in Spagna era pari a 32.971.000 presenze ".
" Nel 1995 il numero di arrivi turisti in Italia era pari a 31.052.000 presenze " .
Sostanzialmente, quindi, al 1995, le presenze turistiche fra l'Italia e la Spagna, ancora si equivalevano. Ergo il gap, fra i due paesi, si è generato nei venti anni successivi.
Sostanzialmente, quindi, al 1995, le presenze turistiche fra l'Italia e la Spagna, ancora si equivalevano. Ergo il gap, fra i due paesi, si è generato nei venti anni successivi.
I dati sono consultabili qui ( in Spagnolo): https://datos.bancomundial.org/indicador/ST.INT.ARVL?locations=ES-IT
Inutile girarci intorno, i danni causati al nostro paese, dall'establishment che ha governato l'Italia dai primi anni novanta ( periodo d'inizio delle privatizzazioni fra l'altro) ad oggi, sono stati enormi.
* A questo link è consultabile lo storico dei Governi susseguitisi in Italia, dal dopoguerra ad oggi http://www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi/i-governi-nelle-legislature/192
* A questo link è consultabile lo storico dei Governi susseguitisi in Italia, dal dopoguerra ad oggi http://www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi/i-governi-nelle-legislature/192
giovedì 4 ottobre 2018
" INTERVISTA A LAURA PORTAS, BIOLOGA E BIONFORMATICA "
Ciao Laura. La Bioinformatica è una
disciplina relativamente nuova che sta interessando un numero crescente di
giovani. Qual è stato il tuo approccio a essa e con quale percorso di studi ci
sei arrivata ?
Dopo aver conseguito la laurea in
Biologia, ho frequentato un Master in Tecnologie Bioinformatiche applicate alla
Medicina Personalizzata che prevedeva al termine del corso di studio uno stage
in azienda per l'elaborazione della tesi finale. Ciò mi ha consentito di
entrare nel mondo del lavoro e di mettere in pratica tutte le nozioni apprese
durante il mio corso di studi. Il Master comprendeva diverse materie che
spaziavano dalla proteomica alla farmacogenomica e mi ha fornito delle nozioni
di base su diversi aspetti riguardanti il vasto mondo della Bioinformatica. Al
termine del periodo di stage l'azienda mi ha proposto di continuare il mio
lavoro con un contratto di collaborazione e da lì è iniziata la mia avventura
in questo settore.
Spesso si sente dire che per essere un
bravo Bioinformatico serve un background formativo in Informatica e dopo
bisogna acquisire le conoscenze di tipo biologico. Altri sostengono il
contrario. Meglio studiare prima Biologia e dopo specializzarsi in
Bioinformatica. Alla luce della tua esperienza qual è il percorso più adatto ?
Alla luce della mia esperienza posso dire
che ritengo fondamentale un background biologico per poter essere un bravo
Bioinformatico perché penso sia necessario conoscere i complessi meccanismi
biologici che si studiano al fine di poter utilizzare i modelli statistici più
adeguati e di poter interpretare i risultati ottenuti. Ritengo che comunque
dipenda molto anche dal settore specifico in cui si lavora, probabilmente chi
si occupa di modellare nuovi algoritmi avrà bisogno di conoscenze informatiche
più solide.
Attualmente sono assegnista di ricerca
presso un Istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e mi occupo di
statistica genetica applicata a tratti complessi e patologie multifattoriali in
isolati genetici. Ora mi trovo negli Stati Uniti presso la Johns Hopkins per un
progetto di collaborazione con un gruppo di ricerca del National Institute of
Health (NIH).
Quali sono, secondo te, al momento, le
possibilità occupazionali in Italia e all'estero, per un Bioinformatica ?
Credo che le possibilità occupazionali in
questo campo siano molte di più rispetto ad altri settori della Biologia anche
se purtroppo penso sia più facile trovare opportunità all'estero piuttosto che
in Italia. Tuttavia anche in questo caso dipende molto dal settore specifico in
cui si lavora e da una buona dose di fortuna per cui è difficile generalizzare.
Certamente ritengo che un Bioinformatico nel panorama lavorativo attuale abbia
più chance di trovare lavoro rispetto a un Biologo che si occupa per esempio di
test di laboratorio.
Cosa ti sentiresti di suggerire a un
collega Biologo/a che voglia intraprendere questa professione ?
A un collega Biologo consiglierei
senz'altro di intraprendere la professione di Bioinformatico e soprattutto di
fare un'esperienza all'estero magari proprio conseguendo fuori una
specializzazione in Bioinformatica. Questo non solo arricchirebbe il curriculum
vitae potenziando le opportunità di trovare lavoro ma permetterebbe sicuramente
di conseguire una formazione all'avanguardia. Trattandosi inoltre di una
materia molto vasta suggerirei di focalizzare su un percorso specifico in modo
da poter indirizzare al meglio il percorso formativo necessario. ( di Mario Albano )
" LE INTOLLERANZE ALIMENTARI IN GELATERIA "
Il confine
che delimita, da un punto di vista eziologico, sintomatico, diagnostico e
persino normativo, le intolleranze dalle allergie alimentari, è spesso labile e
poco definito. In linea di massima, possiamo dire che nell’allergia ad un
determinato alimento, l’organismo reagisce all’ingestione dello stesso, con una
risposta infiammatoria che spesso interessa diversi organi e che è mediata dal
sistema immunitario. Nel caso delle intolleranze invece, di solito è interessato
solo un organo o apparato, come ad esempio l’intestino tenue nella celiachia e
non vi è mediazione da parte del sistema immunitario. Ciononostante, vi sono
diverse scuole di pensiero che tendono a spostare dall’una o dall’altra parte
della “barricata”, le diverse patologie. Nel caso della intolleranza al
glutine, ad esempio, secondo
la più recente definizione dell’ESPGHAN del 2012, (Hubsky et al, 2012) “la celiachia è un disordine sistemico
immuno-mediato provocato dall’ingestione di glutine e/o prolammine simili, in
individui geneticamente predisposti”. In molti casi, d’altra parte,
l’intolleranza al glutine, è considerata un disordine circoscritto all’apparato
gastrointestinale, ovvero all’intestino tenue anche se poi, i danni alla mucosa
intestinale causati dall’intolleranza, che si riflettono in un malassorbimento
di tutti i nutrienti, alla lunga finiscono per coinvolgere l’intero benessere
psicofisico del soggetto con problemi secondari generalizzati e diffusi anche
ad altri organi (dermatiti, patologie
autoimmuni secondarie etc).
Il legislatore, nel normare da un punto di vista giuridico questo
settore, si è focalizzato essenzialmente sulle “allergie alimentari”,
tralasciando il tema delle intolleranze, fortunatamente con la dovuta eccezione
proprio della celiachia che è stata, recentemente, riconosciuta, come malattia
sociale ed è, in termini statistici, la più diffusa intolleranza alimentare a
livello mondiale.
Lo spettro dello scibile in tema d’intolleranze alimentari in gelateria
è quindi estremamente vasto e sarebbe impossibile trattarlo esaurientemente ma
soprattutto in maniera precisa, completa e dettagliata in un solo articolo. Ci
limiteremo, questa volta, a parlare solo delle
intolleranze alimentari, focalizzandoci in particolar modo, soprattutto su
quelle di maggiore interesse, sia per diffusione sociale che per maggiore
attinenza in gelateria, ovvero l’intolleranza
al glutine e l’intolleranza al lattosio, dando dei cenni introduttivi
generali su cosa sono questi disturbi, la differenza con le allergie e la
normativa di riferimento cogente, ovvero gli obblighi giuridici che il
gelatiere ha, nel tutelare eventuali avventori che dovessero esserne affetti,
rimandando ad un articolo successivo l’approfondimento sulle allergie e le
altre forme d’intolleranza.
Differenza fra allergia e intolleranza
alimentare
Secondo l’European Food Information Council (EUFIC), “la reazione
negativa al cibo è spesso erroneamente definita allergia alimentare. In molti
casi è provocata da altre cause come un’intossicazione alimentare di tipo
microbico o un’intolleranza ad un determinato ingrediente di un alimento”. Nel definire quindi, che cosa sia una
intolleranza alimentare è bene avere chiara la differenza fra quest’ultima e le
allergie, solitamente ben più gravi, sia da un punto di vista sintomatico che
per il tipo di riposta infiammatoria innescata. L’EUFIC infatti, prosegue
dicendo: “L’allergia alimentare è una
forma specifica di intolleranza ad alimenti o a componenti alimentari, che
attiva il sistema immunitario. Un allergene ovvero una proteina presente
nell’alimento a rischio che nella maggioranza delle persone è del tutto
innocua, provoca, nel soggetto allergico, una catena di reazioni del sistema
immunitario tra cui la produzione di anticorpi. Gli anticorpi determinano il
rilascio di sostanze chimiche organiche, come l’istamina, che provocano vari
sintomi: prurito, naso che cola, tosse o asma (Fig. 1)
Fig. 1
Le allergie agli alimenti o ai componenti
alimentari sono spesso ereditarie e vengono in genere diagnosticate nei primi
anni di vita”.
Nell’allergia alimentare, quindi, la
reazione dell’organismo, all’introduzione di un alimento, normalmente innocuo
per la maggior parte delle persone, viene invece percepita, come una minaccia,
attivando una serie di reazioni che
coinvolgono il sistema immunitario. La reazione dell’organismo all’ingresso
di questa “minaccia” ovvero di un allergene, stimola, la produzione di
anticorpi, in pratica proteine che si legano ad altre proteine, ovvero agli
allergeni, per poterli rendere innocui e quindi eliminarli. In questo complesso meccanismo, una particolare categoria di anticorpi
che prende il nome di immunoglobuline E ( Ig
E ), reagisce con l’allergene
scatenando una ulteriore reazione con i mastociti (cellule dei tessuti), i leucociti basofili e le piastrine (cellule del sangue) . I mastociti, detti
anche mastocellule (dal tedesco mastzellen, "cellula
infarcita"), di forma tondeggiante, localizzati al livello del tessuto
connettivo, ovvero al di sotto del rivestimento epidermico di naso, gola, apparato
respiratorio, occhi e intestino, a seguito del contatto diretto o indiretto con
l’allergene, rilasciano una sostanza chiamata istamina o altre sostanze quali i leucotrieni e le prostaglandine,
che provocano reazioni, come appunto l’asma, gli starnuti il prurito o
l’arrossamento. Le reazioni negative sono immediate e di solito localizzate.
Alcune reazioni allergiche impiegano varie ore o addirittura giorni a
manifestarsi dopo l’esposizione ad una proteina estranea. In questo caso
parliamo di "reazioni di
ipersensibilità ritardata". Fortunatamente, nella maggior parte dei
casi, la reazione allergica è di forma lieve, alcune volte però, può essere
molto seria ed in rari casi addirittura letale ( vedi shock anafilattico).
L’incidenza delle allergie alimentari nella
popolazione, sulla base di diversi studi e trials
clinici condotti in doppio cieco, ovvero alternando l’assunzione dell’allergene
con un placebo (una sostanza
somministrata al paziente come farmaco ma priva di principi attivi), è di
circa l’1 - 2%. Apparentemente non sembra tanto, ma proviamo a pensare che in
gelateria, ogni 100 persone che entrano, come minimo, una o due di queste
soffrono di una qualche forma più o meno grave di allergia alimentare. Nel
bambini piccoli e negli adolescenti, questa percentuale, fra l’altro, sale di
diversi punti, fino a collocarsi in una media fra il 3 ed il 7%.
Fortunatamente, molte di queste allergie alimentari, manifestatesi in età
pediatrica, scompaiono o comunque si affievoliscono molto, nel corso
dell’adolescenza.
Sebbene le allergie alimentari possano manifestarsi,
praticamente con qualsiasi alimento, ne esistono alcuni per cui, le possibilità
di scatenare una reazione allergica nei soggetti predisposti, sono maggiori.
Fra i principali “allergeni alimentari”
ricordiamo le uova, la frutta, le
arachidi, la soia, il grano, il latte vaccino e vari tipi di noci e nocciole.
In particolare le noci o le arachidi,
sono note per essere causa, di reazioni allergiche particolarmente gravi, fino
allo shock anafilattico.
Dopo aver chiarito che cosa sia un’allergia alimentare
e i suoi meccanismi, possiamo dire che nel caso delle intolleranze alimentari invece, la reazione infiammatoria
dell’organismo all’allergene, non è
mediata dal sistema immunitario. La diffusione nella popolazione inoltre è
solitamente molto maggiore. Da un
punto di vista storico-statistico, infatti, un significativo aumento delle
intolleranze alimentari, si è avuto a partire dal 1940, quando le abitudini
alimentari, degli italiani, sono
cominciate a cambiare. L’introduzione degli alimenti da industria alimentare e
l’utilizzo di additivi quali conservanti, coloranti, antiossidanti, ha
sensibilmente incrementato le intolleranze, che permangono maggiormente
presenti nei paesi più industrializzati, rispetto ai paesi in via di sviluppo. Al
giorni d’oggi, in termini probabilistici, qualunque cliente entri in gelateria, potrebbe
essere più o meno intollerante ad un qualche ingrediente presente nel gelato.
In realtà va precisato che
il gelato è un alimento particolarmente a rischio allergeni, proprio perché
preparato con uova, latte, frutta secca o a guscio (sostanze inserite nella legge 114/2006). Il rischio contaminazione,
ad esempio per il celiaco, potrebbe derivare non solo dalle materie prime ma
dalla presenza in tracce, di glutine in alcuni stabilizzanti utilizzati nella
produzione, oppure nell’utilizzo di latte in polvere o dei comuni semilavorati
in gelateria. Spesso infatti, quando guardiamo la lista ingredienti di un gelato,
ci focalizziamo sulle uova, il latte, la frutta. Tutti ingredienti, privi di
glutine ma ci dimentichiamo della possibile di contaminazione in tracce,
derivante non dalle materie prime ma bensì dagli additivi o da passaggi nella
produzione di determinati ingredienti.
Nella seguente tabella riassuntiva
vengono elencate le diverse tipologie di prodotti di possibile utilizzo in
gelateria e la loro idoneità per il consumatore celiaco.
Fra le diverse intolleranze, le due più frequenti, oltre che per incidenza,
anche per ordine d’importanza, sono proprio l’intolleranza al glutine e quella al lattosio. Fra l’altro entrambe sono di rilievo per il gelatiere, proprio
perché coinvolgono due fra gli ingredienti, maggiormente utilizzati nella
produzione del gelato e dei supporti (coni,
cialde etc.).
Intolleranza alimentare al lattosio
A
norma di legge per “latte alimentare” deve
intendersi (art. 15 r.d. 994/9 maggio 1929) “il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa,
della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione”. Con il
termine latte si intende quello prodotto dalla vacca, ovvero il cosiddetto
“latte vaccino” mentre quello proveniente da altri animali porta la
denominazione della specie animale che lo produce. Come ogni altro tipo di
latte, anche quello vaccino, comunemente utilizzato nella produzione gelatiera
è una miscela complessa di componenti di varia natura, presenti sia allo stato
di soluzione vera (sali, vitamine
idrosolubili, sostanze azotate non proteiche, zuccheri), sia allo stato
colloidale (proteine e parte dei fosfati
e citrati di calcio) sia allo stato di fine emulsione (lipidi e vitamine liposolubili). Il latte di vacca, è mediamente composto dal
3,3 – 4% di grassi, 2,8 – 3,3% di proteine, 4,8 – 5% di carboidrati, 0,6 – 0,8%
di Sali minerali, e la restante parte 86,9% - 88,5% di acqua (Fig.
2). L’intolleranza alimentare al lattosio, riguarda proprio quel 4,8-5%
di carboidrati, ovvero di zuccheri ingeriti e vediamo come questo avviene.
Fig. 2
Il lattosio rappresenta la quasi totalità degli
zuccheri presenti nel latte vaccino, con una percentuale del 98% sul
quantitativo complessivo di carboidrati. Si tratta di un carboidrato semplice
disaccaride, costituito da due monosaccaridi ( Glucosio e Galattosio). L’indice
glicemico del lattosio, ovvero la velocità con cui esso è assimilato dall’organismo
umano è pari a (46) ed è circa la metà dell’indice glicemico del glucosio
(100).
Riguardo al consumo di latte in età adulta, va fatta
una precisazione doverosa. Tutti i mammiferi ad eccezione dell’uomo, una volta
terminato lo svezzamento, cessano di consumare latte. Anche perché le ghiandole
mammarie, della madre, smettono di produrne. L’uomo fa eccezione a questa
regola, continuando a consumare latte, anche in età adulta, seppur di specie
diversa. Secondo molti Biologi, l’introduzione del latte extra-specie, ovvero
di una specie diversa, nell’alimentazione umana, è un fatto cronologicamente
piuttosto recente e risalirebbe ad una mutazione genetica, avvenuta non più di 7000
anni fa. In pratica, qualche migliaio di anni addietro ci sarebbe stata una
mutazione genetica che avrebbe consentito la digestione del latte anche in età
adulta, cosa che prima non era possibile.
Una volta ingerito il latte, infatti, affinché il
lattosio venga scisso nei due zuccheri semplici (glucosio e galattosio) e quindi possa essere immesso in circolo
per essere poi assorbito, è necessario un enzima presente a livello
dell’intestino tenue, detto lattasi.
La mutazione genetica che avrebbe consentito la persistenza della lattasi,
anche in età adulta, non sarebbe diffusa omogeneamente fra la popolazione e ciò
spiegherebbe la ragione per cui esistono individui privi di lattasi in età
adulta, ovvero incapacitati a digerire il lattosio, mentre altri no. In pratica,
mentre nella persona “non intollerante”, il lattosio viene scomposto a livello
dell’intestino tenue, dalla lattasi, in glucosio e galattosio, che entrano
subito in circolo ematico, nei soggetti intolleranti al lattosio, dove
l’attività enzimatica della lattasi è ridotta o in alcuni casi assente, il
lattosio prosegue il suo percorso intestinale fino all’intestino crasso, dove
subisce una fermentazione ad opera della microflora intestinale locale. Questo
comporta sintomi come gonfiori crampi addominali, flatulenza o diarrea.
Secondo alcuni studi, circa il 70% della popolazione
mondiale, soffrirebbe di una più o meno ridotta attività dell’enzima lattasi.
In Europa, sarebbe invece il 5% della popolazione a manifestare carenza di lattasi,
con significative variazioni in base al paese ed al ceppo di origine. Numeri
che, fra l’altro, sono in aumento nel vecchio continente, ma non solo. Appare
evidente, quindi, che il gelatiere artigianale, dovrà prestare particolare
attenzione al fatto che molti dei suoi clienti, potrebbero essere intolleranti
al lattosio. Anche in questo caso, una offerta parallela alla tradizionale
produzione di gelato, che tenga conto delle necessità, di questo tipo di
clientela, può essere un buon modo per differenziarsi dalla concorrenza e
ritagliarsi una posizione di nicchia, nel mercato del gelato della propria
zona.
Intolleranza al lattosio:
“legislazione e obblighi”
Dal 13 Dicembre 2014, al termine dei tre anni
di periodo transitorio dato dal legislatore per adeguarsi, diventerà legge,
ovvero “norma cogente”, il Regolamento Europeo 1169/2011 (in vigore dal 2011) che obbliga chiunque tratti
alimenti, a produrre un’etichetta completa, chiara e dettagliata che includa
l’indicazione degli allergeni.
Fermo restando
che, come abbiamo sottolineato in precedenza, quasi tutti gli ingredienti
possono dare, nei soggetti predisposti, intolleranze ma che solo alcuni
ingredienti possono dare allergie alimentari, la comunità europea, con la
direttiva allergeni Dir.
2000/13/CE e successive modifiche ( quali
Direttiva
2001/101/CE, Direttiva2002/67/CE, Direttiva 2003/89/CE, Direttiva 2006/107/CE,
Direttiva 2006/142/CE, Regolamento (CE) n. 1332/2008, Regolamento (CE) n.
596/2009 ), ha imposto l’obbligo di indicare, sulle etichette dei prodotti
sfusi, ogni sostanza che appartenga all’elenco (Fig. 3) dei potenziali
allergeni (così come riportato
nell’allegato III del Dlgs n. 114 dell’8 febbraio 2006, in attuazione delle
direttive 2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in materia di indicazione degli
ingredienti contenuti nei prodotti alimentari - GU n.69 del 23-3-2006 - entrato
in vigore il 7/4/2006 ), al fine di assicurare un’informazione adeguata e
raggiungere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori.
Di
fatto, secondo il Regolamento Europeo 1169/2011, la redazione
di un etichetta alimentare dovrà essere basata su criteri di assoluta
trasparenza ai fini della salvaguardia della salute dei consumatori. L’obbligo
sarà quindi, non solo per il prodotto confezionato, ma anche per la vendita
sfusa (gelaterie, pasticcerie ecc.).
Il cliente dovrà sempre avere a disposizione il libro-giornale degli ingredienti, conoscerne l’origine e le
indicazioni allergeniche.
Ricordiamo infine, a riguardo soprattutto della prevenzione del rischio
intolleranza al lattosio e quindi in merito alla corretta informazione al
cliente, di esporre nella gelateria, il “Cartello Unico”, (Fig. 4) degli
ingredienti. Lo schema
di cartello unico degli ingredienti che rientra negli strumenti previsti dalla
normativa europea (Regolamento
Europeo 1169/2011) e nazionale (D.lgs. 109/1992) sulla
etichettatura e la pubblicità dei prodotti alimentari a tutela del consumatore,
dovrà essere esposto ben visibile al pubblico in tutti gli esercizi in cui si
vendono per asporto prodotti di gelateria, pasticceria, panetteria e
gastronomia. A partire dal 13 dicembre 2016, , sempre in base al
Regolamento Europeo 1169/2011, vigerà l’obbligo, per i
produttori, di redigere anche “una dichiarazione nutrizionale”.
Fig. 4
Intolleranza alimentare al glutine (Celiachia)
Il termine
"celiaco" deriva dal greco koiliakós, "addominale",
ed è un vocabolo introdotto nel 1800, grazie alla traduzione di un testo medico
antico, redatto nel primo secolo d.c. da
parte del medico Areteo di Cappadocia, il quale la denominò “diatesi celiaca”,
ovvero “alterazione intestinale”.
Secondo alcuni
studiosi, le origini storiche della malattia celiaca risalirebbero a circa
10.000 anni fa quando fu introdotta la coltivazione dei cereali nella zona
della cosiddetta “Mezza Luna Fertile” (Siria, Israele, Iran, Iraq). In seguito,
tale coltivazione si estese in tutta Europa, diffondendo, di conseguenza, la
malattia in tutto l’occidente. Storicamente, la celiachia era
molto meno diffusa di adesso ed in molti si sono chiesti il perché dell’incremento
della diffusione di questo disturbo. Una chiave di lettura la da certamente la
genetica, ma non può essere considerata la sola responsabile. Certamente la
predisposizione genetica ha la sua importanza, come fra l’altro è stato
dimostrato dall’individuazione di alcuni geni coinvolti, sul cromosoma 6 (Sollid et al, 2005;
Louka et al, 2003; Trynka et al, 2010; Bourgey et al, 2007; Margaritte et al,
2004), ma pare che anche l’ambiente abbia giocato e giochi
un ruolo importante nello sviluppo della malattia. Il prolungato allattamento
al seno, fino ai quattro anni, nell’antichità e fino a un anno di età, agli
inizi del secolo scorso, costituiva, ad esempio, un fattore protettivo, dovuto
probabilmente alle difese immunitarie trasmesse dalla madre al piccolo
attraverso il latte, e che oggi è andato perso. L’elevata mortalità infantile
dei bambini, intolleranti al glutine, inoltre, non consentiva il diffondersi
della predisposizione genetica. Non bisogna inoltre dimenticare
che secoli addietro i cereali, venivano assunti, solo a seguito di lunghe
fermentazioni acide oppure di prolungate cotture, che inattivavano in maniera
totale o parziale l'attività tossica, o almeno quella allergenica del glutine. Oggi,
la nostra alimentazione è completamente cambiata rispetto al passato. Il
diffondersi di molti prodotti a base di grano duro, ricchi di glutine ed una
cottura spesso insufficiente, hanno contribuito al diffondersi
dell’intolleranza.
L’Associazione Italiana Celiachia (AIC), attualmente la principale
organizzazione indipendente italiana che si occupa d’intolleranza al glutine e
della tutela delle persone affette, in un recente studio, ha stimato che
l‟incidenza della Celiachia nella popolazione è di un caso ogni 100/150
individui. I celiaci italiani, sarebbero quindi, fra le 400.000 e le 600.000
unità. Un numero considerevole ed in costante aumento, sebbene, per molti
epidemiologi, sottostimato. Il Professor Richard Logan, ebbe a dichiarare, nel
1992, che “la celiachia è come un
iceberg, la cui punta è costituita dai soggetti diagnosticati ed il sommerso da
quelli non riconosciuti”.
Ma che cos’è esattamente la
celiachia ?
Meglio definita come “intolleranza al glutine”, la
celiachia in realtà è una intolleranza ad alcuni tipi di proteine di cui il
glutine è costituito, ovvero le “prolammine”. Tali proteine, contenute in
alcuni cereali, per ingestione indurrebbero in individui geneticamente
predisposti, il morbo celiaco. Il glutine (dal
latino gluten = colla), è una proteina che si origina
dall'unione, in presenza di acqua ed energia meccanica, di due tipi di proteine:
la gliadina e la glutenina, prolammine
presenti principalmente nell'endosperma delle cariosside di cereali quali frumento,
farro, segale, avena e orzo. I
celiaci, a seguito d’ingestione di quantitativi anche minimi di prolammine,
sviluppano dei danni più o meno marcati alla mucosa dell’intestino tenue (Fig.
5)
L’alterazione morfologico-funzionale della parete del
lume intestinale, comporta una sintomatologia immediata come gonfiore
addominale, crampi, diarrea, ma a causa dell’alterazione nell’assorbimento dei
principali nutrienti, può portare nel tempo, a patologie autoimmuni, quali
ileite ulcerativa, dermatite erpetiforme o addirittura a neoplasie
dell’intestino tenue. Attualmente si stima che l’80% degli ammalati di
celiachia non ne sia consapevole.
Nel soggetto intollerante, una
volta ingerito un qualunque alimento contenente glutine ed una volta che il
“bolo alimentare” raggiunge il primo tratto intestinale, ovvero quello
dell’intestino tenue, le pareti di rivestimento di quest’ultimo si danneggiano,
precludendo le normali funzioni di assorbimento dei nutrienti essenziali quali
grassi, proteine e carboidrati. I sintomi includono astenia (debolezza), crampi
e dolori addominali, diarrea e perdita di peso. L’esclusione di alimenti
contenenti glutine, gradualmente porta alla remissione dei sintomi ed
all’autoriparazione dei danni intestinali.
L’intolleranza al glutine può comparire sia nel
bambino che nell’adulto a qualunque età. Solitamente la celiachia nel bambino, compare
dopo lo svezzamento a distanza di un mese dalla prima introduzione del glutine.
La sintomatologia nella maggior parte dei casi, evidenzia
un quadro clinico caratterizzato da diarrea, vomito, anoressia, irritabilità,
arresto della crescita o calo ponderale. Nell’adulto invece, la celiachia può
comparire a qualsiasi età, solitamente a seguito di un forte stress o di una
infezione intestinale
Intolleranza al glutine:
“legislazione e obblighi”
Come già ricordato per l’intolleranza al lattosio,
così come per qualunque altra eventuale e potenziale intolleranza in gelateria,
la normativa principale a cui bisogna fare riferimento è il D.lgs. 109/1992 e soprattutto il nuovo Regolamento Europeo 1169/2011 che obbliga chiunque tratti alimenti, a produrre
un’etichetta completa, chiara e dettagliata che includa l’indicazione degli
allergeni a margine di ciascun ingrediente o per diversa sua fonte. Il testo attuale del regolamento (UE) n. 1169/11, d‘altra parte, non
sembra lasciare molto spazio al buon senso. Viene infatti prescritto di
ripetere la presenza di ingredienti allergenici, pur già segnalati, in
relazione a ogni loro specifica fonte: ingredienti, additivi, coadiuvanti o
altro.
Nel caso della celiachia, è importante quindi,
per il gelatiere, garantire la corretta comunicazione degli ingredienti
presenti nel gelato ed in tutti quei composti ove è presente glutine, anche in
tracce. Ogni
prodotto deve essere accompagnato da relativa composizione che può essere
riportata in un cartello vicino ad ogni singola preparazione, nei pressi della
vetrina espositiva, con il cartello unico ben visibile o con qualunque altro
metodo che permetta un facile ed intuitivo collegamento tra singolo prodotto ed
indicazione dei rispettivi ingredienti ed eventuali allergeni, come il glutine
nel caso specifico.
La preparazione di un gelato privo di glutine, ad ogni modo, presuppone
un’attenzione e spesso, laddove possibile, una suddivisione delle linee produttive,
che non si può improvvisare. Tutte le fasi di produzione di un gelato privo di
glutine, dovranno essere perfettamente separate da quella del gelato
tradizionale, a partire dall’approvvigionamento delle materie prime, al
trasporto che dovrà garantire contenitori a chiusura ermetica perfetta, allo
stoccaggio, alla produzione sino ad arrivare agli utensili adoperati nella fase
di somministro. In quei casi in cui, per diverse ragioni non sarà possibile
differenziare le due linee produttive, esse dovranno essere diversificate nel
tempo e i processi di pulizia e sanificazione dei macchinari e degli utensili,
rigorosi controllati ed inclusi come punti critici CP, nel piano di
autocontrollo, proprio per evitare qualunque contaminazione crociata in tracce,
di glutine.
A tal proposito ricordiamo che l’AIC (Associazione Italiana Celiachia)
ha varato un progetto interessante e già attivo, che mira a creare un network di gelaterie informate e
sensibilizzate, sulle modalità di preparazione e somministrazione del gelato
privo glutine. In suddette gelaterie che espongono un logo (Fig. 6), il personale ha
seguito corsi appositi, tenuti da personale qualificato AIC, sui requisiti e le
modalità di preparazione di un gelato sicuro e privo di glutine.
( di Mario Albano )
( di Mario Albano )
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