«Ma perché “avere culo”
significa “avere fortuna”? Perché si dice così?».
In effetti lo diamo per
scontato, ma il legame fra “lato B” e fortuna è tutt’altro che lineare: che
cosa c’entra la buona sorte con i glutei? In apparenza, proprio nulla.
Insomma una questione interessante, tanto più che questo modo di dire non è solo italiano, ma ha un corrispettivo sia in spagnolo (tener culo) e in inglese: booty (fondoschiena) vuol dire anche bottino, vincita.
Sul Web ho trovato due
spiegazioni su questo curioso modo di dire. La prima ricollega l’espressione
alla pederastia dei Romani: “i bei giovani dai glutei appetitosi venivano molto
richiesti dai Romani che, per poterli possedere sessualmente, li ricoprivano di
regali. Così, avere un bel posteriore, per un ragazzo, era indizio di una vita
più fortunata rispetto ai propri coetanei”.
L’ipotesi però, non
regge, perché la pederastia ha
avuto alti e bassi nell’antica Roma (in alcune epoche fu condannata), e il
ruolo omosessuale passivo era comunque disprezzato: difficile che in queste
condizioni i glutei maschili potessero diventare simbolo universale di buona
sorte. Tanto più che era ben diffuso l’apprezzamento per i glutei femminili,
come testimonia la statua della Venere callipige (dal bel sedere) esposta al
Museo archeologico di Napoli.
L’altra spiegazione che
circola sul Web fa riferimento a un fatto storico: le forche caudine, ovvero l’umiliazione
dei Romani sconfitti dai Sanniti nel 321 a.C. Secondo alcuni, alla fine, i Romani
furono sodomizzati uno a uno e “chi aveva un ano più grande (sic!) soffriva
meno, quindi era più fortunato”
Ma è plausibile immaginare un intero esercito che ne sodomizza un altro in un campo di battaglia? Non direi, tanto più che nelle cronache dell’epoca non se ne parla: non citano uno scenario del genere le due fonti che parlano di quella battaglia, ovvero Tito Livio (in “Ab urbe condita”), e Paolo Orosio, peraltro entrambi vissuti secoli dopo.
Dunque, le ragioni
dell’equivalenza glutei=fortuna devono stare altrove. Ma dove? La letteratura
non ci viene in aiuto: «l’espressione ‘avere culo’ è abbastanza recente» dice
il lessicografo Giovanni Casalegno. «Nel “Grande dizionario della lingua
italiana” del 1964 è presente, ma non si cita alcuna fonte letteraria». Ma
se la letteratura non ci aiuta, può venirci in soccorso la scienza. Quale
significato evolutivo hanno i glutei? Per capirlo, bisogna osservare che uso ne
fanno le specie più vicine a noi, ovvero i primati. L’etologo Desmond Morris ha
dedicato diverse pagine all’argomento, nel bellissimo libro “L’uomo e i suoi
gesti”.
“Pare che le grosse e
rotonde natiche femminili siano un antico segnale di richiamo sessuale,
l’equivalente umano del gonfiore delle femmine degli altri primati” scrive
Morris. “Per lanciare un segnale sessuale al maschio, la scimmia femmina gli
presenta il posteriore nel modo più cospicuo possibile. Nelle scimmie di tutte
le specie, questo gonfiore aumenta e diminuisce secondo il ciclo mensile della
femmina, raggiungendo la dimensione massima nel periodo dell’ovulazione
(…).Tale mutamento non ha luogo invece nella femmina umana: le natiche
rimangono ‘gonfie’ per tutta la fase riproduttiva della sua vita, proprio come
lei stessa è sempre sessualmente responsiva. (…) E ai due emisferi delle
natiche femminili fanno riscontro i due emisferi dei seni. (…) A causa della
nostra peculiare postura di locomozione, la parte ‘di sotto’ è diventata ‘il
davanti’ e questo davanti è l’area più prontamente disponibile per le
esibizioni sessuali”.
Dunque, i glutei sono un segnale primario di disponibilità sessuale (mentre il seno è un segnale derivato: riproduce le forme dei glutei sul davanti). Ma sono anche segno di fecondità: un sedere rotondo segnala la presenza di estrogeni e di sufficienti riserve di grasso per affrontare la gravidanza e l’allattamento.
Ma non è tutto. “In
alcuni gruppi etnici” aggiunge Morris “il segnale delle natiche raggiunge estremi
molto maggiori di quanto si sia abituati a vedere in occidente. Nelle tribù
africane dei boscimani e degli ottentotti esiste una condizione nota come
steatopigia, in cui le natiche diventano due enormi protuberanze grasse, di
dimensioni parecchie volte maggiori a quelle delle natiche ordinarie. E le
figure intagliate dagli artisti preistorici mostrano sovente la stessa
caratteristica, per cui essa deve esser stata presente in antico non solo in
Africa ma anche in Asia e in Europa. Sembra probabile che per le prime donne la
steatopigia fosse una condizione normale, invece che rara, e che le boscimane e
le ottentotte di oggi siano semplicemente gli ultimi esempi della forma
originale della femmina umana, come appariva alcune migliaia di anni orsono.
Forse la risposta maschile moderna agli ‘emisferi’ femminili deve molto della
sua forza a questa antica condizione, che certo faceva delle natiche femminili
un potentissimo segnale di identità sessuale”.
Dopo la preistoria, il
ruolo dei glutei è stato rilanciato (per meglio dire, sfruttato) nel secolo
scorso dalla pubblicità, in particolare dai produttori dei jeans, che ha
enfatizzato la vestibilità dei pantaloni valorizzandone l’aderenza al “lato B”.
Come dimostrano le pubblicità, davvero numerose (e quasi ossessive), sul tema.
Dunque, tirando le
somme: i glutei sono simbolo di femminilità, sesso, fecondità, attrattività,
felicità (che, etimologicamente, significa fecondità). Per il linguista Ottavio
Lurati, le parti anatomiche collegate alla riproduzione (quindi non solo
il sedere, ma anche il fallo e la vagina) hanno un valore vitale così alto che
sono usate simbolicamente “come forze apotropaiche per allontanare il dolore,
la magia, il male, il malocchio: dunque, aver culo significa aver
fortuna”. La spiegazione è plausibile, visto che la sessualità è vita e come
tale scaccia la morte. Ma mi pare più un uso simbolico che deriva da un aspetto
ben più originario e pratico: un bel sedere è per una donna un grande vantaggio
perché può attrarre più partner e consentirle di scegliere il più forte, il più
ricco, il più intelligente. Se non è fortuna, questa! Del resto, come diceva
l’ex prostituta Nell Kimball, autrice di “Memorie di una maitresse
americana”: “Ogni ragazza siede sulla sua fortuna, e non lo sa”.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.